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Populismo per miliardari

Populismo per miliardari

Silvio Berlusconi Il palazzinaro di Milano traccia il solco, quello di Manhttan lo porta al massimo vertice: due dotati interpreti della politica come show

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 giugno 2023

Berlusconi e Trump. Silvio e Donald. Il palazzinaro di Milano e quello di Manhattan. Così simili, così diversi. Così disastrosi per i rispettivi paesi. Il primo se ne è andato, il secondo resta in pista e potrebbe perfino tornare al potere. Due guitti. Due puttanieri. Due artisti della politica postmoderna. Ma è Silvio che ha inventato lo stile del populismo dei miliardari. Trump è arrivato vent’anni dopo.

Pare che il destino dell’Italia sia quello di inventare nuove forme politiche che poi verranno imitate con esiti catastrofici per tutti: nel 1923 Benito Mussolini era già il Duce quando Hitler lanciava il suo golpe da operetta in una birreria di Monaco e finiva rapidamente in una prigione bavarese. Silvio Berlusconi nel 1993 preparava il lancio di Forza Italia mentre Trump (in teoria repubblicano) si faceva fotografare in compagnia di Bill e Hillary Clinton.

BERLUSCONI ha inventato il populismo dei miliardari, cioè uno stile politico basato sulla personalità di un leader che si presenta come un outsider e un difensore dell’uomo della strada malgrado sia stato, fino a un minuto prima, un affarista legato ai politici di turno: Berlusconi a Craxi e Trump ai sindaci di New York che facilitavano le sue operazioni immobiliari.

Lo pseudopopulismo poteva tuttavia funzionare solo grazie a interpreti d’eccezione: personaggi capaci non solo di fiutare gli umori della gente ma di interpretarli, canalizzarli, trasformarli in forza politica. Berlusconi e Trump hanno certamente avuto successo grazie al potere del denaro (fondare un partito personale è più facile se hai dozzine di commercialisti e avvocati a libro paga) ma la stoffa politica c’era. E, soprattutto, c’era la grande scuola della televisione da cui, non a caso, è uscito anche Beppe Grillo, un altro leader politico capace di creare dal nulla un partito di maggioranza relativa, nel suo caso senza neppure essere miliardario.

Silvio era un uomo di televisione: inventava programmi, selezionava autori e interpreti, controllava financo i costumi delle ballerine. Donald ha forgiato il suo stile nel reality show “L’apprendista”, una creazione dell’inglese Mark Burnett in cui due squadre si battevano per il privilegio di ottenere un posto nella Trump organization e il momento decisivo di ogni puntata era quello in cui uno degli ingenui aspiranti veniva licenziato: «You are fired!»

TRA IL 1990 e il 2010 la televisione era molto più al centro dell’ecosistema informativo di quanto non sia adesso. Oggi Fox News, il canale preferito di Trump ha tra 1,5 e 3 milioni di spettatori in prima serata, Cnn mezzo milione (e non a caso ha licenziato il suo direttore la settimana scorsa). Briciole rispetto al ruolo giocato da questi due network vent’anni fa. L’ascesa di Berlusconi, con la prima vittoria elettorale nel 1994, è coincisa con il momento di massimo potere della televisione commerciale, quella di Trump è arrivata nel 2016 grazie alla sua capacità (appresa da Berlusconi) di dominare il ciclo di notizia.

ENTRAMBI, INFATTI, capivano istintivamente che se la politica è una forma di intrattenimento vince chi garantisce lo spettacolo più eccitante e nuovo a tutte le ore, tutti i giorni. Questa è la spiegazione delle cosiddette gaffe di Trump e Berlusconi: provocazioni sessiste o razziste, frasi senza senso, insulti agli avversari, bugie palesi. Ancora oggi i politici tradizionali si chiedono come mai milioni di persone amino Trump, o abbiano amato Berlusconi, nonostante le loro menzogne, i loro guai giudiziari, i loro attacchi ai giudici, i loro sfacciati conflitti di interesse.

LA RISPOSTA sta nel fatto che moltissimi elettori erano felici di vedere qualcuno che impunemente sfidava i giudici, simboli di un potere ovviamente ostile per l’uomo della strada. Leader apparentemente intoccabili nonostante i loro imbrogli hanno consenso presso il cittadino che non può rischiare neppure di prendere una multa. I politici con tre mogli una dopo l’altra, e amanti più o meno esibite, sono invidiati da un elettorato maschile che vede attrici e modelle solo in televisione. E le analisi elettorali hanno costantemente smentito chi pensava che le donne avrebbero punito nelle urne i protagonisti di notti roventi con attrici porno: Trump, nel 2016, ha avuto il consenso della maggioranza delle donne americane di razza bianca.

BERLUSCONI E TRUMP ostentavano le loro trasgressioni: politiche, legali, sessuali, di buona educazione. In tempi non lontani sarebbero probabilmente stati emarginati dalla politica, non oggi. L’uomo della strada non può trasgredire in niente, neppure dimenticare una firma in calce a un modulo. Per lui le tasse sono una certezza: quando i miliardari si vantano di non pagarle suscitano più invidia che indignazione. Il risentimento verso le élite e la ricerca di capri espiatori sono le realtà materiali su cui Berlusconi e Trump hanno costruito le loro fortune politiche.

Personalità egocentriche e autoritarie, i due miliardari potevano permettersi di ammirare Putin e di sostenerlo perfino dopo l’invasione dell’Ucraina (salvo smentite poco convinte il giorno dopo). Il rovesciamento della politica estera della Guerra fredda, ben rappresentata oggi dal governo Meloni, era possibile solo per due leader che avevano come base di consenso quei milioni di persone a cui la politica tradizionale non offriva, e non offre, nulla.

CELEBRITÀ AL POTERE, Berlusconi e Trump potevano interpretare il loro ruolo di populisti antisistema grazie a un implicito pregiudizio favorevole degli spettatori, rispettosi della loro abilità come uomini di spettacolo. Per Silvio il sipario è calato definitivamente, per Donald il momento della ritiro purtroppo non è ancora arrivato.

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