Cultura

Popova, l’avanguardista russa arriva in Grecia

Popova, l’avanguardista russa arriva in GreciaUn’opera di Liubov’ Popova

MOSTRE Una grande mostra a Salonicco, visitabile fino al primo marzo presso il Museo di Arte Moderna, dedicata alla artista. La traiettoria creativa viene ora ricostruita nella città della Torre Bianca dove è conservata parte della raccolta appartenuta a George Costakis, nato a Mosca ma greco d’origine

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 25 gennaio 2020

Nel 1999 una mostra itinerante inauguratasi al Deutsche Guggenheim di Berlino raggruppava sotto la icastica definizione di Amazons of the Avant-Garde «sei donne di genio» (per citare il curatore John Ellis Bowlt) che avevano lasciato la loro impronta su quel fenomeno del resto alquanto sfaccettato noto come avanguardia russa. Un’immagine quella delle artiste-guerriere già suggerita dal poeta cubofuturista Benedikt Livsic, che nelle sue memorie L’arciere dall’occhio e mezzo aveva parlato con ammirazione di «vere Amazzoni, cavallerizze della Scizia». Il riferimento agli Sciti, nomadi abitatori delle steppe asiatiche, non era affatto casuale, visto che gli avanguardisti avevano eletto quei «barbari» a loro ideali progenitori. Cosicché sul suolo russo la ricerca di linguaggi artistici nuovi si salderà a un neo-primitivismo polemico nei confronti della società borghese occidentale, mentre l’esaltazione di una sensibilità non addomesticata andrà di pari passo con la libertà creativa che anche le pittrici rivendicavano per sé.

TRA LE «AMAZZONI» individuate da Livsic e consacrate dall’esposizione al Guggenheim (Natal’ja Goncarova, Aleksandra Ekster, Ol’ga Rozanova, Varvara Stepanova e Nadezda Udal’cova) Liubov’ Popova è forse colei che più di altre assorbì suggestioni occidentali negli anni Dieci, rielaborandole poi a confronto con i dettati antitetici di Kazimir Malevic e di Vladimir Tatlin. D’altronde, composizione e costruzione erano da sempre le polarità contrapposte fra le quali oscillava il suo irrequieto tocco, nutrito da un profluvio di stimoli apparentemente inconciliabili quali l’interesse per il Rinascimento italiano e la pittura antica russa (in primis quella di icone), la lezione del cubismo analitico francese appresa in loco a Parigi e l’apertura alle sperimentazioni più radicali del suprematismo e del costruttivismo.

Inevitabilmente segnata dagli eventi rivoluzionari, la traiettoria creativa di Popova viene ora ricostruita nell’ampia mostra a lei intitolata, curata da Andrej Sarab’janov e Maria Tsantsanoglou, e visibile al Museo di Arte Moderna di Salonicco fino al primo marzo 2020. L’ambientazione non è fortuita, poiché proprio nella città della Torre Bianca è conservata gran parte della raccolta appartenuta a George Costakis, nato a Mosca ma greco d’origine, visionario collezionista ante litteram dell’avanguardia che, dal dopoguerra in poi, grazie ai contatti personali coltivati con gli artisti sopravvissuti e i loro familiari, riuscì a salvare da oblio certo e probabile distruzione opere di inestimabile valore. Come quelle per l’appunto di Popova (artista da lui particolarmente amata) che accanto a prestiti meditati, sono esposte ora a Salonicco in una mostra notevole sia per esaustività, sia per la qualità del suo allestimento. I minimalistici «interni» d’atelier concepiti dall’architetto Kirill Ass e corredati da schizzi, fotografie e documenti d’epoca restituiscono infatti tutto lo sperimentalismo e l’azzardo sistematico dell’agire di Popova, la quale oltre che pittrice da cavalletto fu anche disegnatrice di tessuti, creatrice di slogan e di scenografie, docente al Vchutemas e animatrice nel suo appartamento moscovita di una cerchia frequentata fra gli altri da Aleksandr Rodcenko, Varvara Stepanova, Pavel Florenskij e dallo stesso Malevic.

SCANDITA in ordine cronologico, la ricognizione prende avvio dai primi anni Dieci, quando l’artista poco più che ventenne, nel desiderio di prendere lezioni di pittura, insieme all’amica Udal’cova bussò a Parigi alla porta di Henri Matisse, solo per scoprire che la scuola del maître (a lei già noto grazie alle tele acquistate dal mercante Ivan Shchukin) era da poco chiusa. Le due signorine russe di buona famiglia furono dunque «costrette» a riparare all’Académie de la Palette di Henri Le Fauconnier e Jean Metzinger, dove recepirono diligentemente i precetti del cubismo. Tale influenza non mancherà di riaffiorare neppure nelle loro opere più mature. Nel caso di Popova lo dimostra La viaggiatrice del 1915, esposto all’Ultima mostra futurista di pittura 0.10 a Pietrogrado, dove la leggibilità della scomposizione in piani è tuttavia minata da un dinamismo ignoto ai francesi che trasforma il quadro in un rebus alogico tendente alla non-oggettualità.

Questa spinta diventerà sempre più evidente nello splendido ciclo delle Architettoniche dipinte (1916-1918), forse ispirato ai profili degli edifici islamici di Samarcanda e certamente alla spazialità delle icone. Qui superfici piatte dai colori accesi vengono liberamente ricombinate per creare strati sovrapposti che violano le convenzioni della prospettiva lineare.
Una ricerca dunque di sintesi plastica lontana dalla radicalità del suprematismo e dalle sue forme uniche, e che prelude agli esiti degli anni successivi quando Popova, in un’adesione totale alle istanze rivoluzionarie, si accosterà sempre di più al costruttivismo di Tatlin e a una visione dell’arte inscindibile dalla creazione di una realtà nuova. La pittura da cavalletto lascerà pertanto il posto alle scenografie realizzate per il teatro di Mejerchol’d, ma anche per manifestazioni di piazza, mentre gli esperimenti formali di Architettoniche dipinte trasmigreranno su stoffe, slogan, porcellane, libri e brochure, assumendo forme più funzionali e stilizzate. Finché una morte precoce, a soli trentacinque anni, non sottrarrà all’«amazzone» Popova arco e frecce, sino a quel momento messi strenuamente al servizio di una stagione creativa irripetibile.

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