Popolo Sahrawi, il governo si ritirerà dalla missione Onu
Italia Nel decreto «missioni all'estero» allarmanti misure anti-terrorismo
Italia Nel decreto «missioni all'estero» allarmanti misure anti-terrorismo
«The devil is in the detail», il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Viene da pensarlo leggendo l’ultimo decreto sulle missioni militari all’estero e lotta al terrorismo in discussione alla Camera, che nasconde sviluppi gravi per procedure e merito. E il burocratese della relazione introduttiva svela un dettaglio allarmante.
Di fatto il governo italiano disconoscerebbe il ruolo dell’Onu nella gestione del conflitto nel Sahara Occidentale annunciando l’intenzione di ritirare a breve quel pugno di carabinieri da anni integrati nella missione Minurso. Con un colpo di spugna suppostamente ispirato a imperativi di bilancio si gettano dalla finestra il popolo Sahrawi con le sue legittime rivendicazioni di riconoscimento, il referendum e un ruolo centrale dell’Onu. Proprio quando dal Polisario e non solo veniva chiesta a gran voce l’estensione del mandato della Minurso (un campo, nella foto di Gilberto Mastromatteo) per monitorare le violazioni dei diritti umani
. Ancora, il capitolo di bilancio del decreto prevede una spesa di poco più di 130 milioni di euro per la lotta a «Daesh»cifra ben superiore alle necessità di copertura per la missione nel Kurdistan iracheno. Una sorta di argent de poche, magari per irrobustire la già forte presenza di navi e commandos italiani al largo della Libia? Altro che lotta al terrorismo o corridoi umanitari, quelle navi sono lì per proteggere i terminali dell’Eni, pronte ad essere inserite nel quadro di Active Endavour l’operazione Nato di pattugliamento dei mari lanciata dopo l’11 settembre e ancora presente nel Mediterraneo per la quale ci sono soldi anche in questo decreto missioni. Che fin dal governo Prodi, è stato considerato un decreto «omnibus» per diplomatici in cerca di guarentigie, cooperazione internazionale, Comites, funzionari della difesa ansiosi di smaltire eccedenze di armi, ecc.
Oggi il quadro si evolve ed il decreto viene dedicato alla lotta al terrorismo, con articoli che introducono norme antiterrorismo, definiscono chi è terrorista e chi no, la portata delle pratiche di monitoraggio e controllo della rete, le attività dei servizi di sicurezza; sulle orme di provvedimenti di altri paesi Ue, accolti con grande preoccupazione dalle organizzazioni per i diritti umani. Ce n’è uno che colpisce, riguarda la possibilità «per le Agenzie di intelligence, consentendo loro, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, di effettuare, fino al 31 gennaio 2016, colloqui con soggetti detenuti o internati, al fine di acquisire informazioni per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale;».
E quali controlli verrebbero messi in atto per evitare che tali «colloqui» degenerino? Né c’è alcun riferimento all’obbligo di assicurare il rispetto degli articoli 10 ed 11 della Convenzione Onu contro i trattamenti inumani e degradanti (la tortura), né il Parlamento viene informato sui protocolli che verrebbero seguiti i «colloqui». Per un paese che da anni dibatte ma non adotta una legge contro la tortura le garanzie dovrebbero essere d’obbligo.
E qui si apre l’altro piccolo grande dettaglio Giacché si dovrebbe immaginare che questioni relative ai diritti ed alla politica estera del paese vedano un ruolo centrale delle commissioni competenti, ossia la Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Esteri. Così non è, anzi le due Commissioni vengono solo chiamate a dare un parere. Chi vota invece e decide stavolta sono la Commissione Giustizia e la Commissione Difesa, significando così due cose: che nella lotta al terrorismo si può fare a meno delle garanzie costituzionali; e che la politica estera ormai plasmata all’imperativo della lotta al terrorismo, è questione per i militari non per i diplomatici. Dicevamo un cambio di passo notevole.
Infine, se il diavolo è nei dettagli, che diavolo significa quel dono al governo eritreo, di materiale ferroviario dell’Aeronautica Militare? E a chi andranno i razzi «regalati» al governo iracheno? Non certo ai Peshmerga, come fu il caso delle armi allora stoccate a La Maddalena e sequestrate ad un mercante di armi anni or sono. Già perché queste armi sono parte dell’impegno italiano contro Isis decretato sotto il sole d’agosto quando lo scorso anno le Commissioni vennero chiamate a deliberare rischiando una seria gaffe diplomatica giacché negli stessi minuti in cui le Camere si riunivano Matteo Renzi era a Baghdad per concordare i dettagli con il governo iracheno. Altro che «dettaglio».
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