Forse non sarà casuale che proprio in questo momento la scrittura di John Steinbeck arrivi prepotente in scena, mostrando in controluce i volti di un’America sempre più ricca di contraddizioni. Dopo il piccolo kolossal di Latella sulla Valle del’Eden, ora Massimo Popolizio addensa in poco più di un’ora, un altro capolavoro come Furore (all’India ancora oggi e domani, prodotto dalla Compagnia Orsini e dal Teatro di Roma). È un viaggio bello e affascinante, che disvela senza nessun riguardo il dolore e la fatica delle masse di contadini che negli anni ’30 successivi alla grande crisi, furono costretti a lasciare le terre inaridite dell’Arkansas e dell’Oklahoma in una nuova corsa all’Ovest verso la California. Che per altro  scoprirà presto gli alti prezzi di nuovo dolore, dignità e sopravvivenza per masse già provate da diseguaglianze violente, sociali ed economiche. Popolizio spende tutta la sua eccellenza di attore impegnandosi allo spasmo, accompagnato dalla vibrante sonorizzazione musicale di Giovanni Lo Cascio (riduzione del testo di Emanuele Trevi), e dalle immagini d’epoca, belle quanto impressionanti e rivelatrici nei volti e nei paesaggi d’epoca. Il risultato è quello di un esperienza davvero rara per lo spettatore, con la inquietante rispondenza di pregiudizi, egoismi e dislivelli che ancora oggi continuano a ferire le società più «avanzate».