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Pontormo e i ragazzi repubblicani

Pontormo e i ragazzi repubblicaniJacopo Carucci detto Pontormo, "Ragazzo col berretto rosso", collezione privata

A Firenze, Palazzo Pitti, "Incontri miracolosi. Pontormo dal disegno alla pittura" Uno speciale focus sul breve sogno del governo antimediceo 1527-’30: che Jacopo da Pontormo interpretò con particolare attenzione al «sé» dei giovani patrioti aderenti alla Milizia

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 8 luglio 2018

Varcare in questi giorni la sala delle Nicchie di Palazzo Pitti a Firenze significa rivivere, per immagini e in scala ridotta, un evento importante nella storia d’Italia d’Età moderna: è di scena la piccola mostra Incontri miracolosi Pontormo dal disegno alla pittura (fino al 29 luglio, a cura di Bruce Edelstein) che racconta di quando (tra il 1527 e il 1530) Firenze si fece Repubblica e di come l’assedio perpetrato dall’imperatore Carlo V spense ogni velleità, riportando in auge la signoria dei Medici.
Tutto è ricondotto alla personale visione del Pontormo e ruota intorno a quattro sue grandi creazioni: il Ritratto di Alabardiere del Getty Museum di Los Angeles, il Ritratto di giovane con berretto rosso di collezione privata, il Martirio di sant’Acacio e dei diecimila (presente nella riedizione di Bronzino che è agli Uffizi) e la Visitazione della pieve dei santi Michele e Francesco a Carmignano. Opere di eccelsa bellezza e accomunate da una travagliata vicenda critica che, complice il vuoto documentario, ha addensato molteplici congetture sul loro conto. Il progetto espositivo affonda le radici perciò nell’orientamento di raccogliere i dipinti scelti intorno a un unico perno cronologico, sulla base di esplicite assonanze tematiche e formali.
La breve stagione della seconda Repubblica fiorentina brulica del protagonismo di giovani uomini. Erano poco più che adolescenti Alessandro e Ippolito de’ Medici, i governanti detronizzati e poi restaurati. Alla stessa generazione appartenevano i futuri pittori Giorgio Vasari e Francesco Salviati che misero in salvo il David di Michelangelo, abbandonato in pezzi in Piazza della Signoria durante le sommosse, e giovanissimi erano anche i tanti fiorentini della Milizia repubblicana. Non sorprende allora che la memoria ritrattistica del Pontormo riferita a questi anni sia legata proprio alle fattezze di due ragazzini, l’Alabardiere e il Ragazzo col berretto rosso.
Ciò che più conta, al di là della decifrazione delle rispettive identità (riconosciute per ipotesi in Francesco Guardi e Carlo Neroni), è il valore archetipico che queste figure hanno assunto. Pontormo fissa con sfumature diverse due gradi di sviluppo di una gioventù alla vigilia della vita, dando loro la connotazione psicologica dell’orgoglio. Rappresentano quel tipo di ragazzi che, senza aver attraversato pienamente l’adolescenza, fu contagiato dallo spirito patriottico e che avrebbe senz’altro guidato la città se la Repubblica non fosse scivolata senza rimedio nel ducato.
Imbevuto di ideali politici, Francesco Guardi non aveva neanche l’età per arruolarsi. Eppure monta la guardia e si atteggia indaffarato a simulare con tenacia la rispettabilità di un navigato uomo d’armi. La medaglia con la lotta di Ercole e Anteo sul cappello, metafora della resistenza alla tirannide, fa da contrassegno alla sua fede civile. Dentro un’oscurità avvolgente, la figura di Carlo Neroni condensa l’adesione alla causa con l’acquisizione della rispettabilità sociale grazie al vincolo del matrimonio. Dai suoi occhi, pungenti e battaglieri come quelli del David di Michelangelo, parla la convinzione di un credo politico. Il tutto è condito con una punta supplementare di civetteria nella ricostruzione superlegante degli accessori.
L’assedio, i bombardamenti e la peste: di questo non c’è traccia. L’affermazione del sé è prevalente. Pontormo si presenta, anzi, meno lunare del solito, con i piedi ben piantati a terra e a suo agio con uno stile splendente che esige tutta la nostra attenzione. Il modo è sostanzialmente lo stesso e rende i quadri molto prossimi a quello con Amerigo Antinori della Pinacoteca Nazionale di Lucca. L’identità compositiva consente pochi dubbi che i primi si situino a brevissima distanza temporale e d’intenti dall’altro.
La comunanza tra i ritratti va oltre il dato formale. Entrambi, una volta sbucati sul mercato, hanno suscitato comprensibili rivendicazioni che si sono infrante per varie ragioni: tutta colpa dell’inerzia della politica italiana, ad esempio, se nel 1989 l’Alabardiere non entrò nel nostro patrimonio nazionale, nonostante l’accorata segnalazione dell’allora deputato Stefano Rodotà; tutta colpa della Brexit e del nuovo rapporto di cambio sterlina/dollaro, invece, se la National Gallery di Londra, che l’aveva in deposito dal 2008, ha dovuto rinunciare al Ritratto del ragazzo con berretto rosso.
Il Martirio dei Diecimila riporta alla luce in modo tangibile uno sprazzo delle trepidazioni dell’assedio. Il quadro trae spunto da una leggenda medievale e rievoca il terribile eccidio subito dal generale romano Acacio e dalla sua legione dopo la conversione al Cristianesimo. L’artista cede al paradigma iconografico della Strage degli innocenti, trasfigurata dal piano religioso a quello politico, e mette in scena la violenta mortificazione delle ambizioni antimedicee.
La celeberrima Visitazione, infine, rivendica anch’essa la sua parte. Voluta dalla famiglia repubblicana dei Pinadori, è rimasta pressoché ignorata fino al secolo scorso. S’immagina perché sottratta alla pubblica vista (dopo che la sua chiesa era stata devastata) per poi approdare a Carmignano quasi duecento anni dopo. A breve dalla fantasmagorica Deposizione in Santa Felicita, Pontormo conferma la preferenza per racconti popolati da figure di grandezza sovrumana. Le forme dei panneggi, dai cangianti splendenti, creano un dinamico groviglio che incatena le cugine l’una all’altra e svela l’attitudine accogliente dei corpi. Se poi l’occhio si inoltra negli angoli, scopre in secondo piano ciondolare, di statura minima e abbozzati in punta di pennello, brani di varia umanità.
Lo straordinario dialogo impaginato dalla mostra contribuisce a uno sguardo più prossimo verso la pratica del Pontormo, col favore di alcuni disegni preparatori e del contestuale raffronto con le rispettive redazioni definitive. Lo studio che anticipa l’Alabardiere indulge con estrema minuzia sui caratteri del vestito. L’altro che si appaia alla Visitazione è, invece, quadrettato e svela la formula escogitata dal pittore per accordare al centimetro l’equilibrio tra l’elaborazione grafica e la pittura. Quello che resta del pensiero dell’artista è riposto in questi fogli. E da lì scopriamo che il suo era un processo creativo lungo e tormentato, fatto di stesure faticose e una buona dose di riscritture, secondo un meccanismo di farraginosa semplificazione. Analizzare immagini a diversi livelli di finitura nel loro susseguirsi e prendere forma equivale a leggere il diario d’ispirazione del pittore. Sta in questo, senza dubbio, il valore aggiunto degli Incontri miracolosi.

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