Oltre ai balneari c’è il Ponte sullo stretto di Messina. Come un fantasma è tornato ieri , riattualizzando il sogno trentennale dal primo governo Berlusconi, pietra miliare dell’immaginario di Meloni & Co. È una delle fisse delle destre c’è anche quella di garantire altri posti sottogoverno ben remunerati, con un cronoprogramma che non verrà mai rispettato. Lo ha annunciato il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, ansiosi di entrare nel club dei costruttori di ponti il cui primo membro sembra sia stato il console romano Lucio Cecilio Metello. Il primo, nel 251 avanti cristo ad avere immaginato un’opera sospesa sulle acque.

E così abbiamo scoperto che il Consiglio dei ministri di oggi non si applicherà solo ad un’altra riforma del fisco iniqua, ma anche a una delle speculazioni più ambiziose della storia, non solo repubblicana, di questo paese di poeti, infelici e consiglieri di costruttori. Per la gestazione del Ponte sarà infatti previsto un «Comitato scientifico» composto da 9 membri che elargirà «pareri ed esperienze» al Consiglio di amministrazione della società concessionaria, la «Stretto di Messina spa», nata nel 1981 sulle spalle dell’indimenticata Iri e resuscitata dall’ultima legge di bilancio dopo essere stata messa in liquidazione dal governo Monti nel 2013. Sarà incaricata, di nuovo, da un decreto di sette articoli, ieri circolata in bozze, di immaginare un cantiere infinito «entro il 31 luglio 2024».

Un’altra volta, con i soldi dell’«Europa». Che però, attenzione, vuole vedere le carte. Mica ci crede, fino in fondo.Carte, e progetti. Sono le uniche che sono state finora prodotte con un certo profitto. «Siamo disponibili a finanziare la prima fase di fattibilità», avrebbe detto la commissaria europea ai trasporti Adina Valean nel dicembre scorso. E si sa che tra la «fattibilità» e la prima pietra c’è un mare. Di denaro. Condito con le parole più cool del momento (quando convengono alle destre). Il Ponte sarà «green» e «sostenibile». Le ha pronunciate ieri Salvini per darsi un tono, in uno dei suoi elenchi che ricordano quelli di Crozza. Nel ricco piatto sono stati ficcati e il ministero dell’Economia che avrà la maggioranza assoluta della società, con almeno il 51% delle azioni, affiancato da Rfi, Anas e le Regioni Sicilia e Calabria.

Un Ponte senza tempo, con una storia quasi mitologica, nata con la leggenda di un ponte fatto di barche e botti per trasportare dalla Sicilia 140 elefanti da guerra catturati dai romani ai cartaginesi nella prima guerra punica. L’idea fu ripresa da Ferdinando II di Borbone, ispirò le fantasie dello Stato unitario sin dai suoi esordi quando l’ingegner Cavone immaginò un allacciamento sottomarino di 22 km. L’idea ha attraversato la storia parallelamente a quella del Ponte. Ma senza successo. In uno spicchio dolente, e bellissimo, di un paese dove mancano le ferrovie, e le strade, non sono mancati i sogni di grandezza in un progetto fuori norma. Come quello dell’ingegnere americano David B. Steinman che nel 1952 progetto una creatura più grande del Golden Gate Bridge di San Francisco. Oggi si ripartirà dal progetto approvato il 29 luglio del 2011 dall’allora società concessionaria. Ma non mancherà occasione per aggiornare l’opera con i criteri anti-sismici del caso.

Nell’affollato consiglio dei ministri di oggi alle 16,30 il piatto forte sarà la riforma fiscale. Ieri il governo ha incassato il consenso delle associazioni imprenditoriali su una bozza fatta vedere al volo, per farli imbizzarrire, anche ai sindacati. Viene sventolata la bandierina liberista della «flat tax per tutti», condimento per ogni pietanza servita dall’estrema destra. Nel frattempo, si cercheranno i fondi. E su questo il mistero è fittissimo. Qualche idea: li prenderanno dal taglio dei servizi, del Welfare. E si parla delle sempre-verde taglio delle «tax expenditures». È l’impresa annunciata da tutti, e mai realizzata perché va ad incidere sulla carne viva del consenso. Sarà, oggi, una nuova occasione di propaganda tronfia. Ieri Meloni parlava di «rivoluzione fiscale». Per ora la delega non dà indicazioni sulla riduzione delle aliquote, dalle attuali quattro a tre che favorirebbe i ceti medio-alti. Una rivoluzione al contrario.