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Ponte Morandi, omnia munda Mundys

Nuova Finanza Pubblica

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari

Pubblicato circa un anno faEdizione del 19 agosto 2023

Sono passati 5 anni dal crollo del ponte Morandi a Genova, con 43 morti e responsabilità ancora pendenti in un difficile processo in corso. Se le responsabilità penali sono prerogativa della magistratura, la questione della gestione della infrastruttura è invece un problema politico. Dopo tanto clamore a ridosso della strage a proposito di togliere le concessioni a chi era stato così carente sulla manutenzione, com’è andata a finire? Ricordiamo che a ridosso del crollo i maggiori giornali trovarono prudente glissare su chi fossero i beneficiari della concessione pubblica, al più parlando della (allora sconosciuta) società Atlantia. Che era controllata dalla famiglia Benetton, i quali hanno potuto godere della rendita della privatizzazione delle autostrade italiane dal 1999 (concessione rinnovata nel 2007-08).

Come negli altri casi delle privatizzazioni si è creata una architettura giuridico-finanziaria complessa: il beneficiario delle concessioni dello Stato per tutta la rete autostradale – inclusi ovviamente i ponti – è Autostrade per l’Italia (Aspi), che nel 1999 ha visto passare oltre il 30% delle quote ad Atlantia – cioè ai Benetton (attivati dopo poco alla quota di controllo). Nel 2018 è stato il punto di massima pressione dell’opinione pubblica per ripubblicizzare, cioè allontanare Atlantia. Si è scoperto però che non solo i privati avevano ottenuto condizioni particolarmente favorevoli per lucrare sulle tariffe al casello, e che la manutenzione recava mastodontiche carenze e faciloneria (i soldi dei pedaggi sarebbero dovuti servire anche a reinvestire nella struttura, invece di discendere nei conti correnti dei concessionari); ma che in caso di abolizione delle concessioni lo Stato avrebbe dovuto rifondere i profitti futuri non fatti!

A fronte di questo fatto, e della rete di connivenze con i controllori pubblici si è scelta quindi a metà 2020 una opzione diversa. E qui la storia si inabissa (sotto il covid nessuno pensava più alle autostrade) diventando anche più interessante. Si sono verificate due operazioni distinte. Con la prima, nel 2021, Atlantia ha ceduto le sue quote di Aspi ad un consorzio per 8,1 miliardi euro. I nuovi acquirenti comprano l’88% delle quote, e sono Cassa depositi e prestiti (50%) e i fondi Blackstone e Macquarie Asset Management (24,5% cadauno). Quindi ritorna sì lo Stato, ma in veste di controllata e affiancata da due ammiraglie del capitalismo finanziario.

La seconda operazione è una partita tutta interna ad Atlantia: allettati dalla ricca buonauscita conferita alla società, dei soggetti cercano di assumerne il controllo con l’acquisto di azioni. I Benetton reagiscono, e attraverso delle società consolidano il loro dominio, comprandosi tutte le quote e togliendola dalla collocazione in borsa. E da chi sono affiancati? Dallo stesso fondo Blackstone cui hanno – in parte – venduto le loro quote di Aspi. Quest’ultimo è uno dei più potenti fondi speculativi al mondo, ramificato in vari settori (costruzioni, gestione investimenti, assicurazioni) che era parte di BlackRock prima che essi si distaccassero – si noti la assomiglianza nel nome; nella proprietà compaiono i soliti fondi Vanguard Group, World Investors, Global Investors ecc.

E Atlantia? Operazione riuscita: Schema Alfa, la società di scopo creata da Benetton e da Blackstone ha assunto un controllo inscalfibile – non essendo più quotata in borsa non può più subire scalate ostili – assieme a Fondazione Cassa di risparmio di Torino. La società nella Relazione annuale approvata ad aprile 2023 registra un ricavato di 7,4 mld di euro per il 2022 (superiore al 2021) per le sue attività in 24 paesi di gestione di infrastrutture – inclusi gli aeroporti di Fiumicino a Ciampino. Si rifà il look e cambia nome, da marzo scorso si chiama Mundys. Insomma tutti ne escono bene (salvo cittadini e parenti delle vittime del crollo), i fondi speculativi e la vecchia Atlantia che a parte il processo penale in corso (si vedrà cosa viene fuori lì) esce pulita dalla vicenda, dopo aver finanziato il proprio riassetto in buona parte coi soldi di una controllata di Stato. Omnia munda Mundys.

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