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Ponte, cercasi coperture. E qualcuno pronto a scommetterci

Ponte, cercasi coperture. E qualcuno pronto a scommetterciUn plastico del ponte di Messina – foto Ansa

Politica Salvini punta tutto sulla grande opera. Ma il rigore del Def non gli lascia molte speranze

Pubblicato più di un anno faEdizione del 15 aprile 2023

Magari sono quei dubbi che si esplicitano solo nel confessionale, ma la realtà è che sul faraonico Ponte sullo Stretto oggi scommetterebbero in pochissimi. Non è solo che costa tanto, 13,5 miliardi messi nero su bianco dal Def e confermati ieri dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, ai quali va aggiunta qualcosina per le «opere complementari» e si arriva poco sotto il 15 miliardi. È la rapidità con la quale il costo si è moltiplicato rispetto agli annunci iniziali di Matteo Salvini, che meno di un mese fa prevedeva di farcela con metà della somma e lo sbalzo non depone a favore della precisione del progetto. Ma soprattutto è il gigantesco punto interrogativo che campeggia alla voce «Coperture». Va da sé che una parte cospicua delle critiche al Def prenda di mira proprio quel particolare mancante.

Ieri il Mit ha risposto in via informale ma estremamente piccata ai rilievi: «È ovvio che manchi la copertura: come sempre per le grandi opere sarà reperita con la legge di bilancio. Non c’è ancora nemmeno la società ad hoc».. Sulla carta il Mit è impeccabile: il Def effettivamente è «un documento di programmazione non di stanziamento delle risorse». Però, date le dimensioni e la portata dell’opera, l’impennata dei costi previsti e soprattutto la spropositata quantità di milioni (circa un miliardo e 200 milioni) già buttata, pardon spesa per il Ponte senza che sia stato posato neppure il primo brecciolino qualche indicazione, anche a voce, non ci sarebbe stata male.

Si vedrà a settembre con la Nadef e la legge di bilancio ma ad accumulare sospetti di impraticabilità c’è anche la filosofia di fondo del Def, che non è rigorista ma austera, draghiana a essere generosi ma per certi versi più vicina all’impostazione severissima del commissario Mario Monti. Niente per i rinnovi contrattuali. Passetto indietro anche rispetto al rapporto sanità/Pil pre pandemia, nonostante i proclami altisonanti strillati nelle giornate tremende che rivelarono lo stato reale della sanità in Italia. Taglio del cuneo fiscale in formato mini e anche quello giustificato con l’esigenza di non alzare i salari per rincorrere l’impennata dei prezzi. Poco se non nulla per fronteggiare il peso dei rincari, con una strategia limitata alla scaramanzia sperando che le bollette non tornino a salire, anche se Arera profetizza il contrario per gli ultimi due trimestri dell’anno.

Le cose non miglioreranno nei prossimi mesi e nel 2024: le previsioni di crescita saranno anche lievemente migliori del previsto ma certo non permettono di allargare neppure poco poco i cordoni della borsa, soprattutto con l’obiettivo di rientrare di quattro punti di debito entro il 2026. Il poco deficit previsto per il 2024, 4,5 miliardi, se ne andrà tutto per la riforma fiscale e bisognerà anche fare i conti con il ritorno dei parametri, che auspicabilmente non saranno da strangolamento come vorrebbe la Germania ma segnerà comunque una stretta rigorista.

Per Salvini, ormai, la grandissima opera è questione di vita o morte politica. Per il governo diventerà un problema grosso quanto il super Ponte.

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