Pompucci poesia nomade
Interviste Un film che tocca moltissime corde tra cui domina l'abbandono, con andamento da fiaba
Interviste Un film che tocca moltissime corde tra cui domina l'abbandono, con andamento da fiaba
Da più parti viene la considerazione che nel cinema italiano si fanno tanti film «medi» che sono l’uno il clone dell’altro. E si fanno moltissimi bei film, con pochissimi soldi, che non vede quasi nessuno. Leone Pompucci ha avuto il coraggio di andare controcorrente, di fare un film difficile. Non è la prima volta, del resto. Il suo «Camerieri», popolato di mostri e di maschere, pervaso da luce abbacinante, film sulla prevaricazione, merita un posto speciale nella nostra cinematografia. Anche il suo ultimo film, che ha avuto problemi di distribuzione, «Leone nel basilico» è da riconsiderare, pervaso com’è da temi fuorvianti per la sua comprensione -l’infanzia abbandonata, la terza età negletta negli ospizi, la prostituzione nell’arte, l’incontro di solitudini, la follia che si è ormai impossessata delle aree metropolitane, il seno femminile continuamente mostrato a significare il ritorno al grembo materno – per arrivare, dopo l’attraversamento del deserto, al senso di una favola nel frattempo tramutata in incubo.
Come nasce «Leone nel basilico»?
Dalla necessità. È riduttiva e troppo semplice come risposta? Vengo da tutte le cose che non ho fatto, che non sono riuscito a fare e che non mi hanno consentito di fare.
Le cose che finora abbiamo fatto sono una piccola parte di quello che abbiamo pensato.
Leone nel basilico invece, nasce per destino e fortuna da una contingenza favorevole e scombiccherata. Nasce dalla necessità della produttrice di guadagnarci bei soldi pubblici (lo abbiamo girato in quattro settimane e tre giorni), e di esserne anche la protagonista. Ida Di Benedetto ha voluto fortemente il progetto, eppure perfino adesso che questo piccolo film è compiuto, la paura di sembrare vecchia e perduta le provoca una paura incontrollabile.
Ma capita, questo film, come tante occasioni della vita nasce da un travisamento, senza travisamento quante cose non sarebbero, gli innamoramenti non sono forse pieni di travisamenti? Eppure questi travisamenti generano figli che vivono la loro avventura davvero imprevedibile.
A mio parere «Leone nel basilico» è un film simbolista, e surrealista. La scena delle tre noci non riporta forse a Buñuel? Nella sua apparente indecifrabilità il film è pieno di segni.
Forse anche troppi segni, a riscriverlo sarebbe da toglierne qualcuno. Quanto a realtà e surrealtà la vita mi sembra piena di questo incedere. Giovanna Mori (che ha sceneggiato il film, ndr) è assolutamente padrona della scienza sulla convivenza dei flussi di surrealtà e realtà, e a me pare li sappia narrare.
Ci sono riferimenti a Pasolini e a Fellini. Le periferie romane,ad esempio, con le palazzine all’orizzonte, un senso ottundente di solitudine urbana,le riprese della Prenestina, Ostia, gli scorci dell’EUR, «Leone nel basilico» è un film on the road né più né meno come lo è «Uccellacci e uccellini». Qual’è la ragione di questo andare?
C’è un fiume dove alcuni si bagnano, una solitudine trecentesca quella di Pasolini, atemporale quella di Fellini. Sarei felice se Leone nel Basilico fosse considerato un piccolo film sulla psiche, intesa proprio come anima delle cose, dell’anima del viaggio di tutti i suoi personaggi.
Ho riscontrato un’attenzione alle musiche che, insieme, costituiscono una sorta di tema della nostalghja: la «Rapsodia svedese» era la sigla di una trasmissione radiofonica pomeridiana, come lo furono pure «Le fontane di Roma» di Respighi; c’è «La Paloma» , il leit-motiv è costituito da «Lisboa antiga». Qual’è il senso ultimo di questa architettura musicale?
L’architettura musicale per me è per molti versi perfino più importante dell’architettura visiva. Morricone nella sua grandezza ha partorito la psiche dei grandi Films insieme ai grandissimi registi come Leone, Petri, Pasolini ed altri. Psiche che viene poi completata dallo spettatore. Ogni opera per essere tale è aperta all’interpretazione. La sacra interpretazione di chi guarda, legge, ascolta. Proprio per questo le opere cui assistiamo ci appartengono così intimamente. Quanto a «Leone nel Basilico» si assesterà nel tempo, nel bene e nel male. E sarà proprio lo spettatore a completarlo.
Il furto della cassetta delle elemosine in chiesa è invece una reminiscenza monicelliana. D’altronde la processione lambisce la casa dove è ambientato «Un borghese piccolo piccolo»…
Sai che ci penso adesso che me lo fai notare? Non è assolutamente voluto. Hai detto bene parlando di ‘reminiscenza’.
Nell’elefante ci ho visto, va’ a capire perché, Fellini. Più avanzava e più rendevo antropomorfo, nelle vesti del regista appunto, l’animale. Che valenza ha nelle intenzioni?
No, assolutamente no. Niente Fellini. Per gli indiani l’elefante è un Dio ma senza che tu mi fraintenda. Gli uomini, poveretti, non riescono a fare un granché da soli, solo gli Dei che ci sovrastano possono guardarci, indirizzarci? Basta un barrito?
Beh, allora perché non considerarlo un deus-ex-machina?
Non male. Certo, nell’economia del film non risolve situazioni però le osserva. E per quello che sappiamo di Dio, si comporta da tale.
«Leone nel basilico» è, anche, un film sull’abbandono. Il bambino (Leone) che viene continuamente abbandonato, la madre che muore -e magari si è suicidata- sottraendosi così alle proprie responsabilità, la protagonista irrancidita che viene sempre abbandonata da figlio e nuora, questo è un film sugli addii. La puntata al pornoshop è l’unico aggancio alla vita come, parimenti, la terrazza è il luogo deputato per spiccare il volo, per riconciliarsi con la vita.
Per me la vita, quando la vedi in filigrana, è fatta di una imprevedibile, incomprensibile, insopportabile sequela di addii. Ma abbiamo l’Amore.
Ho rilevato una strana chiusa o morale -mi dirai tu se ho visto bene o meno-: che senso ha essere salvati quando il nostro orizzonte è il naufragio?
Bravo anche qua. Il viaggio del bambino è il viaggio di tutti. Chi può salvarlo? Una madre, un carabiniere…un elefante? È un film con una grossa speranza: capacitarsi alla fine della corsa che la vita abbia avuto un senso anche nel disastro, per l’amore che ci abbiamo messo.
In una scena, una di quelle finali, appare una ceramica raffigurante un elefante con in groppa un bambino. L’hai fatta fare apposta?
Rieccoci ai misteriosi segni e segnali tra reale e il surreale. A Bari vediamo parecchie case dove ambientare questa scena. Dopo una ricerca lunghissima, lavoriamo in questo appartamento e la padrona a sorpresa ci mostra quella ceramica, proprio quella del bambino in groppa all’elefante, su una ventina di milioni di case in Italia, proprio in quella casa c’era quella ceramica. Il senso del film.
Prostituirsi, per la protagonista giovane, ha una valenza particolare?
Vuol dire dissipare il dono.
Scopriti: che vuol dire «Leone nel basilico»?
Resterai deluso dalla risposta. Il bambino viene messo in un carrellino della spesa con un cespo di basilico. Come «nel mezzo del cammin di nostra vita ci incamminammo per una selva oscura», così il bambino Leone se ne va per il basilico che è la sua selva, anche la più profumata. Il titolo m’è suonato bene. Insomma, capisco che Ulisse di Joyce sia più sapido ma il viaggio c’è.
Una parola sugli attori. La Di Benedetto incarna egregiamente l’idea di tramonto, Catrinel Marlon è autorevole…
…Si, e Carla Signoris la trovo eccellente, poi meravigliosi per me sono Mariano Rigillo e Domenico Diele, per non parlare di Pia Velsi, grandissima attrice napoletana, ha girato il Film a ottantotto anni, e l’anno scorso versava in condizioni tali da dover chiedere aiuto per andare avanti. Essere vecchi è una vergogna italiana.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento