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Pomigliano, «nessuno vigila»

Pomigliano, «nessuno vigila»Pomigliano

Intervista Andrea Amendola, segretario della Fiom di Napoli: «Il contatore infortuni è a quota zero...»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 28 marzo 2015

Fino al 2008, il tempo di lavoro al Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco era scandito in modo che ogni due ore ci fosse una pausa di 10 minuti e, a metà turno, una sosta di 30 per la mensa. I ritmi di lavoro erano alti ma i movimenti più liberi a causa della minore automazione. Poi c’è stata la ristrutturazione, l’avvento del sistema di produzione mutuato dal Giappone (il World class manufactoring) e la rivoluzione del modello Marchionne. «L’organizzazione del lavoro è completamente cambiata – spiega il segretario provinciale della Fiom di Napoli, Andrea Amendola – e le conseguenze si sentiranno proprio sulla salute degli operai, a cominciare da disturbi legati alla ripetitività dei gesti, ma si potrebbero aggravare anche le patologie legate alla struttura muscoloscheletrica».

Amendola, la mensa è finita a fine turno. Come funziona con le pause?

Prima sulla linea di montaggio erano previsti 40 minuti di sosta durante il turno. Se volevi fermarti alzavi la mano e un collega, detto battiscopa, ti sostituiva. L’azienda disse che ci voleva personale in più ed era dispendioso così introdusse le pause collettive. Con la ristrutturazione avrebbe voluto eliminarle del tutto (noi della Fiom e lo Slai cobas le utilizzavamo anche per mini assemblee), alla fine le ha ridotte a 30 minuti dicendo che erano anche troppi, nello stabilimento di Tychy in Polonia ne fanno 25. Il fatto che non ci si fermi per il pranzo aumenta lo stress: molti in mensa non ci andavano neppure, però prendevano fiato. A Melfi è peggio perché producono più vetture rispetto a Pomigliano e i ritmi sono forsennati.

Chi stabilisce i tempi di lavoro? Il sindacato ha voce in capitolo?

Con i nuovo accordi è tutti in mano a Fca, senza alcun controllo. In passato avevamo accesso ai cartellini di ogni lavoratore: potevamo verificare che tipo di mansione veniva svolta, i carichi e la saturazione del tempo di lavoro. Adesso non abbiamo accesso ai dati. Se l’operaio non ce la fa la risposta è ti metto fuori e faccio entrare un altro. Una minaccia che vale anche a Melfi, dove c’è la piena occupazione.

Quindi possiamo dire non c’è pace in fabbrica ma silenzio?

Al Vico ti ripetono che puoi finire in contratto di solidarietà oppure peggio, in cassa integrazione. Poi c’è la minaccia finale: il reparto confino di Nola. Dissero che la struttura dell’interporto doveva essere il gioiello della logistica. Invece non ci hanno mai fatto niente, salvo sistemare 70 operai da appena un anno per impacchettare un po’ di componenti per Pomigliano e Melfi. Ci hanno sistemato in cig quelli che davano problemi e l’hanno usato come minaccia. La prova è che nel 2008 erano in 316, qualcuno è morto (ci sono stati anche diversi suicidi), qualcuno è andato via. Il numero scende a 290 e poi risale a 300 perché continuano a spedirci lavoratori non graditi, persino capi in conflitto con l’azienda. Avevano promesso di riassorbire tutti ma senza un secondo modello, oltre la Panda, non è possibile riportarli sulle linee.

Il tabellone all’ingresso del Vico che marca gli infortuni segna sempre zero. Nessuno verifica i motivi del miracolo?

I primi a vigilare dovrebbero essere i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Noi ne abbiamo uno, eletto da poco, ed è l’unico che solleva problemi. Per gli altri va tutto bene. Su denuncia dei sindacati, l’Asl dovrebbe fare delle ispezioni. A volte non vengono neppure, quando le abbiamo chiamate non è mai successo nulla. E comunque non arrivano mai per controlli inattesi. Nessun’altro ente si è mai presentato per verificare. Del resto la Fiat è in ottimi rapporti con tutti a cominciare dalla prefettura fino alle forze dell’ordine. Il responsabile della sicurezza è un ex colonnello dei carabinieri.

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