Visioni

«Polvo serán», oltre l’esistenza sottraendosi all’esperienza del lutto

«Polvo serán», oltre l’esistenza  sottraendosi all’esperienza del luttoUna scena da «Polvo serán» di Carlos Marqués-Marcet

Cinema In concorso alla Festa di Roma il film di Carlos Marqués -Marcet.

Pubblicato 5 giorni faEdizione del 23 ottobre 2024

Claudia urla, si dimena, fugge senza dare l’impressione di avere una meta da raggiungere. La vediamo inseguita da suo marito Flavio. L’uomo cerca di calmarla. E con lui la figlia Violeta che, più di tutte e tutti, condivide il dramma di una madre che a breve scopriremo essere una malata terminale. Nella casa appaiono due paramedici. Alla sofferenza del tumore subentra la ricerca, se non di una cura, di un temporaneo freno al dolore. In questi movimenti nervosi, apparentemente scoordinati, si notano dei passi di danza, un’improvvisa coreografia che contribuisce a definire la storia, come se tutti quei frammenti di realtà (malattia, amore, compassione, rabbia, tristezza, risolutezza) chiedessero di essere ricomposti per mezzo di gesti artistici.
Come Emilia Pérez di Jacques Audiard e Joker: Folie à Deux di Todd Phillips, anche Polvo serán di Carlos Marqués-Marcet, vincitore di Platform, la sezione competitiva del Festival di Toronto, e in concorso alla Festa del Cinema di Roma (Progressive Cinema), attinge alla tradizione del musical per raccontare la transitorietà dell’essere, i momenti di passaggio tra un prima e un poi.

MA SE tra Arthur Fleck e Joker, tra Juan «Manitas» Del Monte ed Emilia Pérez, in gioco sono l’identità e l’assumere una diversa posizione nel mondo, per Claudia e Flavio la questione si pone in modo ancor più radicale. «Lo sai che io morirò? – afferma Claudia con una domanda perentoria che non ammette contro-argomentazioni – Lo sai vero? Questo non cambierà. Prima o poi succederà». «Anche io morirò, prima o poi», replica Flavio, per nulla intimorito. Solo che il suo «poi», fa notare la moglie, potrebbe essere «molto più tardi».

Il tema del suicidio assistito affrontato da una prospettiva non etica, ma drammaturgica

È QUI, da questo dialogo, che ha inizio una riflessione per certi versi spiazzante. Perché Polvo serán non è un film pensato e realizzato per sensibilizzare le persone sul tema della malattia e dell’eutanasia. Claudia ha deciso di porre termine alla sua esistenza tramite il suicidio assistito praticato in un centro svizzero. E così vuole fare anche Flavio, perfettamente in salute, eppure risoluto nel non separarsi dalla compagna. La simmetria deve proseguire oltre la vita, nel non essere più. Il conflitto, perciò, è con chi si sente escluso da una negazione che si manifesta in modo assoluto. Il distacco da figlie e figli, da amiche e amici, è totale. Non vi è spazio, dunque, per alcuna considerazione etica, per elaborazioni e pratiche politiche. Ognuno, al di là e al di qua della scena, non può trarre conclusioni che pretendano l’universalità.
Carlos Marqués-Marcet, regista quarantunenne nato a Barcellona, dopo numerosi cortometraggi e documentari, aveva esordito nel 2014 con 10.000 Km, seguendo le vicende di una giovane coppia che senza preavviso inizia a perdersi a causa di una distanza grande quanto un oceano. Le video-chiamate, giorno dopo giorno, testimoniano il progressivo sgretolamento della relazione. Le cose del mondo sembrano avere la meglio. In Polvo serán, i due protagonisti, interpretati splendidamente da Ángela Molina e Alfredo Castro, misurano l’intera esistenza attraverso il loro stare insieme, non ascoltando appelli e richiami. Sottraendosi all’esperienza del lutto. Consegnando a chi resta la loro assenza.

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