Quelli che tirano fuori dalle macerie dei palazzi di Gaza colpiti dalle bombe hanno il colore grigio del cemento. Ne sono ricoperti completamente dalla polvere. Cemento misto al sangue delle ferite sul volto e sul corpo. Gli adulti ancora vivi rimasti incastrati sotto i pilastri osservano i soccorritori con gli occhi sbarrati, in stato di shock. I bambini invece hanno gli occhi chiusi, sembrano dormire, per molti di loro è il sonno della morte. «Aiutatemi, sono qui, Dio mio proteggimi, che Dio vi benedica salvatemi» gridano alcuni ai soccorritori. Altri, con ferite mortali, alzano il dito indice e pregano prima di esalare l’ultimo respiro. Intorno c’è gente che corre o resta immobile per minuti, paralizzata dalla paura, immersa in nuvole di polvere e cemento che tolgono il respiro. Poi l’urlo delle sirene delle ambulanze che arrivano sul posto o vanno via, su strade sventrate dalle esplosioni, verso ospedali che possono fare ben poco per i feriti. Ci sono infermieri e autisti che non dormono da giorni ma non si arrendono, non hanno il coraggio di abbandonare tra le macerie i sopravvissuti a un attacco aereo. E medici schiantati dalla fatica e dal senso di impotenza. Volti e disperazione simili mostravano ieri i superstiti dell’attacco che ha distrutto il supermercato Abu Dallah di Nusseirat, il più grande di Gaza. 18 morti ma sotto le macerie c’erano ancora delle persone, alcune vive assicurano testimoni della strage. Recuperarle è quasi impossibile con i pochi mezzi a disposizione e mentre dall’alto cadono le bombe. Altre 18 vittime, nelle stesse ore, si sono avute nelle vicine Deir al Balah e Rafah. I corpi, avvolti in coperte, sono stati allineati nel parcheggio dell’ospedale Shuhada di Khan Yunis.

Ciò che riusciamo a vedere di Gaza – che resta chiusa alla stampa internazionale – lo dobbiamo solo alle foto e ai video amatoriali inviati con quel poco di connessione ad Internet che ancora resta nella Striscia. Immagini spesso dai mercati, dai campi profughi, da Shujayeh (spianata già nel 2014 durante l’offensiva Margine Protettivo), da Gaza city, da nord e da sud della Striscia. In un filmato diffuso dalla tv turca TRT i bambini palestinesi si scrivono sulle mani il loro nome e dove abitano, in modo da essere riconosciuti, vivi o morti, una volta estratti dalle macerie.

Per le Forze armate israeliane il martellamento dal cielo che riducendo a macerie la Striscia ha l’unico scopo di colpire Hamas e le sue infrastrutture, non i civili. Ma non pare che sia stata distrutta la rete di gallerie sotterranee, in cui si nasconde l’ala militare del movimento islamico. I racconti degli ostaggi israeliani liberati, che in quelle gallerie ci sono rimasti per due settimane, non hanno riferito, almeno per quello che si è appreso, di crolli e distruzioni. E quasi venti giorni dopo l’attacco del 7 ottobre, Hamas ieri è stato in grado di lanciare un centinaio di razzo verso il sud e il centro di Israele, facendo capire di non aver perduto le sue capacità. I media israeliani riferiscono di nuove armi per «distruggere Hamas». Parlano di «attacchi sismici», ossia di bombe progettate per penetrare nei tunnel di Gaza – le bunker buster di fabbricazione Usa? – provocando forti scosse, simili a quelle di un terremoto. In ogni caso a far tremare i civili e tutto ciò che resta in piedi a Gaza bastano le migliaia di attacchi dal cielo – 400 tra lunedì e martedì – di cui, ogni mattina, riferisce il portavoce militare, assieme all’uccisione di uomini di Hamas.

Diversi sono i numeri che riferisce il ministero della sanità a Gaza. Fino a ieri sera i palestinesi uccisi in poco più di due settimane erano 5.791 (circa la metà minori), i feriti 16.297. Cifre che Israele giudica false, gonfiate a scopo propagandistico dal ministero palestinese che non sarebbe indipendente perché Gaza è controllata da Hamas. Versione che contesta apertamente il giornalista Ziad Amali che cura una chat con informazioni essenziali per il lavoro della stampa locale e internazionale. «Alcuni giornalisti stranieri si affrettano a precisare che il ministero della sanità è collegato ad Hamas» ci ha detto Amali «ma il personale del ministero a Gaza è costituito da dipendenti pubblici e professionisti della sanità che non fanno parte di alcun partito politico. Molti membri del personale a Gaza sono dipendenti dell’Autorità nazionale palestinese e il ministero a Ramallah (sotto l’autorità del presidente Abu Mazen) conferma sempre i numeri condivisi da Gaza».

Visitando ieri le truppe speciali che si addestrano all’invasione di Gaza, sempre sul punto di scattare secondo i media locali, il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha detto che, a un certo punto, sarà consentito l’ingresso del carburante a Gaza, sino ad oggi mai portato nella Striscia dai convogli umanitari della Mezzaluna Rossa, a causa del divieto di Israele. Però, ha precisato Halevi, solo se sarà destinato ad uso civile e non utilizzato da Hamas. Così le autocisterne restano sul versante egiziano del confine con Gaza mentre non possono più aspettare le Nazioni unite e gli ospedali. Juliette Touma dell’Unrwa, l’agenzia che assiste i profughi palestinesi, ha avvertito che, se non ci sarà un rifornimento urgente, l’Onu nelle prossime ore interromperà le sue operazioni. Ha inoltre confermato che 35 dipendenti dell’Onu sono rimasti uccisi nei bombardamenti.

Mentre l’attenzione generale si sofferma su Gaza sotto attacco e il sud di Israele sotto il tiro dei razzi, nella Cisgiordania occupata si moltiplicano gli attacchi dei coloni israeliani alle comunità palestinesi. L’ultimo, ci scrive il giornalista Younis Tirawi, è avvenuto ieri sera, quando sconosciuti hanno sparato da una collina contro le auto palestinesi. L’ong israeliana Yesh Din ha mappato quali comunità palestinesi in Cisgiordania sono state attaccate dai coloni. Dal 7 ottobre sono stati compiuti più di 100 attacchi in almeno 62 città e villaggi della Cisgiordania. I coloni, denuncia Yesh Din, hanno ucciso sei palestinesi e cacciato via intere comunità di pastori, hanno dato fuoco a case e veicoli, sradicato alberi e distrutto proprietà. Altri 90 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito in scontri o durante raid nelle città e nei campi profughi.

Il Centro per i diritti umani israeliano B’Tselem ha ricevuto segnalazioni «di coloni entrati nelle comunità palestinesi, a volte armati e scortati da soldati, che hanno attaccato gli abitanti, in alcuni casi minacciandoli con le armi e sparando contro di loro». In risposta all’attacco di Hamas, il ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir (estrema destra) ha promesso di armare «squadre di sicurezza civile» negli insediamenti in Cisgiordania e nelle città miste con palestinesi ed ebrei. Finora, sono state distribuite ai coloni circa 150.000 armi. Per gli attivisti palestinesi e israeliani, i coloni sfruttano il clima politico per commettere violenze e occupare altre terre.