Polvere di caffè sui libri per innescare la Storia
Mostre L'artista ruandese Francis Offman ospite nella mostra «La Biblioteca del mondo» presso la Fondazione Memmo, nona edizione di «Conversation piece», a cura di Marcello Smarrelli. «La Bibbia tradotta in lingua kinyarwanda che uso apparteneva a mia madre e l’aveva portata con sé durante il genocidio del 1994 nel mio paese. Ottenerla è stato un processo che ha richiesto anni, poiché lei non voleva separarsene e, soprattutto, temeva che potesse essere utilizzata per qualcosa di ’blasfemo’. Ho dovuto giurare che non sarebbe accaduto»
Mostre L'artista ruandese Francis Offman ospite nella mostra «La Biblioteca del mondo» presso la Fondazione Memmo, nona edizione di «Conversation piece», a cura di Marcello Smarrelli. «La Bibbia tradotta in lingua kinyarwanda che uso apparteneva a mia madre e l’aveva portata con sé durante il genocidio del 1994 nel mio paese. Ottenerla è stato un processo che ha richiesto anni, poiché lei non voleva separarsene e, soprattutto, temeva che potesse essere utilizzata per qualcosa di ’blasfemo’. Ho dovuto giurare che non sarebbe accaduto»
Una biblioteca come immenso deposito della memoria e archivio collettivo che intreccia temporalità parallele. È quella che immaginava Umberto Eco, a partire da sé ed è quella che ritroviamo nella mostra presso la Fondazione Memmo di Roma, che prende il titolo da una utopia del pensiero. La Biblioteca del mondo (visitabile fino al 21 aprile) si fonde con la nona edizione di Conversation piece, il ciclo di mostre a cadenza annuale, a cura di Marcello Smarrelli, una sorta di telaio in cui si tessono le relazioni fra artisti italiani e stranieri che scelgono la capitale come luogo di residenza e ricerca.
BIBLIOTECA COME STANZA sconfinata della complessità, dunque, che si lascia abitare dalla videoinstallazione di Bruna Esposito sull’Infinito di Leopardi nella lingua dei segni, dalla Heimatkunde di Nicolò DeGiorgis (che parte dal suo quaderno di memoria affettiva per la costruzione della propria identità), ma anche dai Brickbat di Claire Fontaine (libri-mattoni con i testi di riferimento di più generazioni che si interrogano vivacemente sulla società – si va da Debord a De Martino fino a Muraro e Virno). C’è anche Kapwani Kiwanga in mostra, artista franco-canadese che rappresenterà il suo paese alla Biennale di Venezia con i suoi Greenbook tratti dai Negro Motorist Green Book, guida stradale per viaggiatori esclusivamente neri.
FRESCA ANCHE LEI di nomina in Laguna (sarà protagonista del padiglione tedesco), l’israeliana Yael Bartana porta video e libro su Malka Germania, opera in cui attraverso realtà e finzione (un fantascientifico messia androgino e «ariano») si inerpica lungo gli spinosi sentieri del riscatto individuale e collettivo, in un momento in cui la questione israelo-palestinese fa deflagrare ripetutamente la Storia.
Il libro, protagonista invocato nel titolo della rassegna, non è mai soggetto neutrale. È una cartografia politica e sociale. Lo è fortemente (connotato) per il ruandese che vive in Italia Francis Offman che dissemina volumi la cui copertina è ricoperta di polvere di caffè inventando così un paesaggio di natura e cultura, intriso di radici africane, deviazioni del colonialismo, effetti della globalizzazione, consapevolezze perdute: quei libri sono poi misurati da un calibro, lo stesso strumento utilizzato per la differenziazione etnica di Tutsi e Hutu che condusse al massacro degli anni ’90. «Dopo un lungo periodo senza che mia madre tornasse in Ruanda – ha raccontato Offman – , al suo rientro in Italia, ha portato con sé diverse cose, tra cui un pacchetto di caffè. L’aspetto che più mi ha sorpreso è che, oltre ad essere esportato, il caffè venisse anche consumato da noi. In quel periodo, cercavo nuovi modi per continuare la mia ricerca artistica, provando a raccontare la realtà presente integrandola nella mia pratica. L’osservazione del fondo del caffè mi ha spinto a porre domande e a individuare connessioni».
FRA I VOLUMI SCELTI c’è un’edizione della Bibbia tradotta in lingua kinyarwanda. Ha forse un particolare significato? «Apparteneva a mia madre e l’aveva portata con sé durante il genocidio del 1994 in Ruanda. Ottenerla è stato un processo che ha richiesto anni, poiché lei non voleva separarsene e, soprattutto, temeva che potesse essere utilizzata per qualcosa di ’blasfemo’. Ho dovuto giurare che non sarebbe accaduto».
Per Offman, ogni materiale artistico ha un preciso senso che s’inabissa nelle profondità della storia passata e recente, rendendo fragile ogni certezza. D’altronde, fra i suoi filosofi di ispirazione c’è Alan W. Watts con un testo come La saggezza del dubbio. «I libri sono delle memorie esterne, una delle tante; in essi viene conservata la conoscenza per le future generazioni e il mondo che verrà. Vorrei condividere questa bella citazione: ’Un libro non serve solo a leggere le parole che racchiude, ma è anche uno strumento molto utile per calibrare la propria sensibilità’. A volte, presi dal malessere, non c’è verso di assimilare il contenuto di ciò che si sta leggendo, si resta a riflettere su cosa stia ostacolando la lettura… Eppure ci sono libri che si riescono a comprendere senza sforzo, pur sentendosi poco bene. Credo che dipenda da una sorta di accordatura mentale e che, nell’aggiustare quell’accordatura, giochino un ruolo fondamentale la sensazione dei fogli di carta sotto le dita e l’impulso trasmesso al cervello nel momento in cui si voltano le pagine».
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