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Polonia, proteste contro la riforma della giustizia

Polonia, proteste contro la riforma della giustiziaUn'immagine delle proteste in Polonia

VARSAVIA Oltre a ridurre di 60 giorni la durata del mandato dei membri del KRS eletti dal governo precedente, il provvedimento targato PiS prevede la scissione dell’organo in due collegi distinti di cui uno interamente politico scelto tra i membri del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, controllata dalla formazione fondata dai fratelli Kaczynski. Se la riforma dovesse entrare in vigore, le nomine dei giudici richiederebbero un doppio via libera da parte entrambi i collegi

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 1 marzo 2017

La Polonia torna a protestare per la giustizia, e questa volta, non soltanto a Varsavia. Sabato scorso le sezioni regionali del Comitato per la difesa della democrazia (KOD) il movimento civico guidato dall’ex-blogger ed informatico Mateusz Kijowski hanno radunato centinaia di manifestanti a Breslavia, Lodz, Katowice ma anche in centri più piccoli come Koszalin e Czestochowa.

Molti cittadini sono scesi in strada per esprimere il proprio “nie” alla riforma del Consiglio nazionale della magistratura (KRS) voluta dal governo della destra populista Diritto e giustizia (PiS). Il KRS composto da 25 membri, di cui 6 eletti dalle camere, svolge un ruolo chiave nelle nomine dei magistrati in tutto il paese.

“Abbiamo bisogno di cambiamenti per riformare la giustizia nel nostro paese. Ma di certo non di quelli proposti dal PiS che mirano soltanto a compromettere l’indipendenza della magistratura”, ha commentato l’ex-attivista di Solidarnosc Andrzej Milczanowski.

Oltre a ridurre di 60 giorni la durata del mandato dei membri del KRS eletti dal governo precedente, il provvedimento targato PiS prevede la scissione dell’organo in due collegi distinti di cui uno interamente politico scelto tra i membri del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, controllata dalla formazione fondata dai fratelli Kaczynski. Se la riforma dovesse entrare in vigore, le nomine dei giudici richiederebbero un doppio via libera da parte entrambi i collegi.

“Ieri il Tribunale costituzionale, oggi le aule di giustizia, e domani invece toccherà a te”, era scritto su uno dei cartelli dei manifestanti scesi in piazza nella città di Lublino, nel sud-est del paese.

Tra le competenze del KRS anche anche la facoltà di adottare provvedimenti sulle modalità di ricorso al Tribunale costituzionale, organo al centro di una lunga tenzone politica che ha finito per coinvolgere anche Bruxelles da quando il PiS ha in mano le redini del potere.

Ma la paralisi della corte stessa è ormai prossima alla conclusione: con la nomina di Marek Jedrejek, la settimana scorsa il gioco è fatto per il PiS che potrà avvalersi di 8 membri della corte su 15 eletti dalla maggioranza. La riforma del KRS è l’ennesimo tassello della politica di “orbanizacja” della Polonia voluta dal numero del PiS Jaroslaw Kaczynski mirante a sottomettere il potere giudiziario a quello politico.

Un processo cominciato con l’’unificazione delle funzioni della Procura generale con quelle del Ministero della giustizia affidate al “super-ministro” Zbigniew Ziobro, e continuate poi con la riforma del Tribunale costituzionale. E così adesso anche il il KRS è finito nel mirino della dirigenza del PiS. Tutti cambiamenti resi possibili senza dover passare per una modifica della Costituzione polacca che resta l’obiettivo ultimo del governo della premier Beata Szydlo.

Le risoluzioni di condanna votate dal parlamento a Strasburgo sulle violazioni dello stato di diritto in Polonia hanno avuto un valore soprattutto simbolico, mentre l’applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona da parte di Bruxelles per sospendere Varsavia troverebbe il veto di Budapest. Difficile dunque immaginare che il forcing Ue trovi nuovo slancio, almeno nel breve termine.

Una tendenza confermata dalla visita di Angela Merkel a Varsavia dello scorso 7 febbraio. In sede diplomatica le prime ministre dei rispettivi paesi hanno mostrato sintonia sull’idea di un’Europa “a due velocità”. Un’ipotesi che significherebbe meno reprimende all’indirizzo di Varsavia ma anche l’adozione di un profilo basso a Bruxelles. Una scelta obbligata che comporterebbe quindi l’ulteriore ridimensionamento del peso istituzionale della Polonia in sede Ue.

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