Polito e la nostalgia della war on drugs
Fuoriluogo Antonio Polito, nel suo editoriale La droga e i silenzi colpevoli comparso sul Corriere della Sera del 10 ottobre, su una cosa ha senz’altro ragione: tra i giornalisti, dalla scomparsa […]
Fuoriluogo Antonio Polito, nel suo editoriale La droga e i silenzi colpevoli comparso sul Corriere della Sera del 10 ottobre, su una cosa ha senz’altro ragione: tra i giornalisti, dalla scomparsa […]
Antonio Polito, nel suo editoriale La droga e i silenzi colpevoli comparso sul Corriere della Sera del 10 ottobre, su una cosa ha senz’altro ragione: tra i giornalisti, dalla scomparsa di Pasolini, «non c’è quasi più nessuno che si interroghi sul perché».
Per porre rimedio a tale mancanza di riflessione sulle sostanze psicotrope e la loro diffusione e consumo, il vicedirettore del Corriere della Sera ritiene utile riproporre stralci dell’articolo dello scrittore friulano La droga: una vera tragedia italiana, di 44 anni fa. Nel 1975 c’era ancora la scala mobile, al XIV congresso del Pci vinceva il compromesso storico di Berlinguer e gli americani scappavano sconfitti dal Vietnam.
Insomma un altro mondo, rispetto al quale l’unico tema che appare immutabile sembrano essere le droghe: anzi «la» droga, al singolare, come ripete Polito, chiamando alla battaglia contro di essa e evocando Pasolini per avvalorare le proprie affermazioni.
Sarei curioso di chiedere a Polito se ritiene utilizzabile ancora oggi l’analisi di Pasolini sulle differenze tra i giovani del nord e del sud contenuta nell’articolo La colpa non è dei «teddy boys»; o se, parlando di figli, tema assai caro al vicedirettore, sottoscriverebbe, senza storicizzare, l’articolo I giovani infelici comparso in Lettere luterane, sempre nel 1975, o Il «discorso» dei capelli del ’73.
Per le droghe, a leggere alcuni editoriali, sembra non esserci né tempo né luogo: poco importa che Piazza Navona, dove Pasolini incontrava un drogato che passa ciondolando, oggi è ad uso esclusivo dei turisti, che il Quarticciolo sia ormai gentrificato e che i bar di Piazza dei Cinquecento siano gestiti da cittadini della Repubblica Popolare Cinese (cosa difficile nel ’75, con Mao vivo). No, non siamo negli anni ’70, neanche per quanto riguarda le droghe: a cominciare dal mercato illegale, che vede una presenza di sostanze psicotrope impensabili negli anni nei quali scriveva Pasolini e che rappresenta la prova regina del fallimento della guerra alla droga lanciata quarant’anni fa da Reagan.
Mai come oggi tante diverse droghe sono consumate da tante persone in Europa: ci accontentiamo di dire che la droga viene a riempire un vuoto causato appunto dal desiderio di morte o tentiamo un’analisi appena un po’ contemporanea e ragionevole? Gli oltre 92 milioni di cittadini europei che hanno consumato droghe si spiegano con il vuoto culturale?
È possibile pensare che questi milioni di individui siano portatori di motivazioni più serie?
È possibile pensare che, se buona parte del mondo della cultura non è estraneo all’uso di sostanze psicotrope, la cultura dell’occidente deve fare i conti in modo laico con tali consumi, come il mondo greco e romano li fecero con l’alcol? Polito dice che non è interessato a riaprire il dibattito sulla liberalizzazione delle droghe cosiddette «leggere».
Bene, sulla liberalizzazione neanche noi: noi chiediamo, con forza, di riaprire il dibattito sulle politiche pubbliche in materia, celebrando la Conferenza Nazionale che attendiamo da oltre dieci anni; chiediamo una nuova regolazione del mercato delle droghe, a partire dalle legalizzazione della cannabis; chiediamo che quello che il Vicedirettore liquida come un limitarsi a ridurre gli eventuali danni collaterali, ovvero le Politiche di riduzione del danno (che hanno contribuito a portare le morti per overdose da 1383 del 1991 alle 334 del 2018), oggi inserite nei Livelli essenziali di assistenza, divengano finalmente un diritto esigibile su tutto il territorio nazionale.
Coloro che fanno ricerca, animano i servizi di cura, le unità di strada, «si interrogano sui perché» e si danno anche qualche risposta.
Non sempre esaustiva, ma iscritta nel registro, provvisorio, della contemporaneità.
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