Visioni

Politica, sangue e furore. Una notte lungo la Senna

Politica, sangue e furore. Una notte lungo la SennaMarcello Colasurdo – foto Getty Images

A teatro La scomparsa di Marcello Colasurdo, un episodio degli anni novanta

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

La scomparsa di Marcello Colasurdo segna davvero un punto forte (oltre che una incolmabile mancanza) nella cultura italiana, come neanche chi l’ammirava poteva immaginare o prevedere, pur avendo entusiasticamente cantato in coro per anni ’e signurine ’e Capudichine fann’ammore cu i marrucchine. Ai Zezi, di cui a lungo l’artista è stato l’esponente di punta (dentro un ensemble tutto di alto livello e impatto) è dovuta una saldatura forte e rara di una tradizione culturale (con il suo immenso patrimonio) con la vita politica e sociale di grandi nuove masse.
Gli Zezi infatti avevano fin nel nome la rivendicazione di provenienza da Pomigliano d’Arco, che voleva dire per tutti l’Alfasud, il maggior insediamento metalmeccanico nel meridione, la sua forza, i suoi problemi, le sue lotte. La Nuova Compagnia di canto popolare, negli anni immediatamente precedenti aveva operato un miracoloso, fantastico recupero di un patrimonio canoro e culturale di altissimo livello, potendo contare da una parte della cultura somma di Roberto De Simone, dall’altra di voci e corpi di scena, come, per fare solo due nomi, Concetta Barra e suo figlio Peppe.
Rispetto alla Gatta Cenerentola, capolavoro ineguagliato della Nuova Compagnia, gli Zezi immettevano nelle canzoni e nei movimenti sulla scena qualcosa che stava tra il sangue e il sudore, la fatica del lavoro e la volontà di cambiare una condizione. Ne fu prova visibile, quasi fisica, uno dei primissimi spettacoli realizzati da Armando Punzo con i detenuti del carcere di Volterra. Fu messa in scena proprio La gatta Cenerentola, e visibilmente gli interpreti (allora in forte prevalenza originari dell’entroterra campano, mentre oggi prevale l’origine straniera) pur ispirandosi al modello De Simone, non potevano dissimulare l’ispirazione che loro veniva direttamente dagli Zezi.
La politica, il desiderio di emancipazione dalle regole della produzione neocapitalista (anche in musica) diventarono un modello di comportamento esistenziale. E anche culturale, e da esportazione perfino. Come può testimoniare chi si si fosse trovato una sera dei primi anni novanta a Parigi, in occasione di un progetto di scambio spettacolare tra la ville lumiere e Napoli.
Anni 90, c’erano tutti i futuri maestri ed eroi della scena partenopea, da Mario Martone e a Toni Servillo a parecchi altri. Dopo lo spettacolo e la cena a Saint Germain, il bistrot doveva chiudere, e cacciò via tutti. Si formò qualcosa tra la comitiva e la processione, finché Colasurdo assunse la direzione, e via, scavalcando la Senna fino al piazzale del Louvre (appena impreziosito dai lucernari di cristallo disseminati sul pavimento) in uno show quasi incontenibile. A ritmo di Zezi e cantando a squarciagola, Pomigliano sembrò letteralmente espugnare una nuova Bastiglia. E neanche i rigidi flic della notte parigina osarono opporsi a quell’onda vitale.

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