Lavoro

Poletti? I suoi cococò no, mica li cancella

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Jobs Act A Italia Lavoro l’annunciata «abolizione del precariato» non funziona: il ministro del Welfare per sé chiede una deroga. E vuole l’ok del sindacato, tramite un accordo. In 790 resterebbero collaboratori. A vita

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 13 marzo 2015

Ma gli ultimi decreti del Jobs Act non avevano cancellato il lavoro a progetto? E la promessa del premier Matteo Renzi, reiterata in ogni dove, non era quella di «abolire il precariato»? Sì, e ci aveva messo del suo, in quanto a solenni impegni, anche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Ma no, mica può funzionare così, dai: neppure una deroga? Poletti ha deciso di ritagliarsene una per il suo ministero.

Una via di fuga si trova sempre, e in effetti gli stessi decreti prevedono che la figura del cococò potrà sopravvivere «in presenza di un accordo sindacale»: e siccome adesso al ministro serve poter mantenere in collaborazione 794 lavoratori di Italia Lavoro, agenzia di proprietà pubblica vigilata dal suo stesso ministero, si è messo in testa di chiederla, quella firma al sindacato. Sì, anche a Cgil e Uil, che giusto a fine anno erano scese in piazza contro la sua riforma, e che ancora oggi se possono ne dicono peste e corna.

Ma raccontiamo tutto per ordine. Va detto innanzitutto che Italia Lavoro ha lo statuto di una spa, un’azienda privata, ma la proprietà è detenuta interamente dal ministero dell’Economia, mentre in quanto agenzia espleta funzioni di strumento del dicastero diretto da Poletti: ed è il Welfare a prendere tutte le decisioni che contano. Opera nelle politiche attive del lavoro, in buona sostanza i suoi dipendenti (e collaboratori) affiancano come consulenti gli impiegati dei centri per l’impiego o delle regioni. Ha circa 320 dipendenti a tempo indeterminato, e i restanti sono tutti precari. Ben 794 collaboratori a progetto e circa 180 lavoratori a tempo determinato.

I precari il 31 marzo vanno in scadenza e il loro futuro è un’assoluta nebulosa. Tanto che si sono mobilitati per sollecitare una risposta. Forse illusi da Renzi e Poletti, avranno magari pensato di poter meritare anche loro un bel “contratto a tutele crescenti”, con annessa “bonifica” del precariato. D’altronde, non potrebbe proprio il ministro dimostrare che a casa sua c’è la volontà di fare un bel repulisti? E gli converrebbe pure: potrebbe risparmiare contributi e Irap, grazie al famoso incentivo di 8 mila euro a persona introdotto dalla legge di stabilità; senza contare che i lavoratori dovrebbero, a fronte, firmargli un condono tombale sul pregresso. Ma mica funziona così. Il ministero li vuole trasformare, sì: ma da cocoprò a cococò.

La proposta “indecente” (soprattutto per Cgil e Uil) è arrivata al tavolo due giorni fa, quando i sindacalisti hanno chiesto non solo di sapere se ci sarà lavoro oltre la scadenza del 31 marzo, ma soprattutto di cominciare a riflettere su una possibile stabilizzazione. «La risposta che abbiamo sentito ci ha sorpreso, soprattutto perché pronunciata dentro il ministero del Lavoro – spiega Simone Marinelli, del Nidil Cgil nazionale – “Sapete, il lavoro subordinato costa di più di quello a progetto…”, ci ha detto allargando le braccia il presidente e amministratore di Italia Lavoro, Paolo Reboani». Al tavolo c’erano anche Paolo Pennesi, direttore generale del ministero del Lavoro, e altri due dirigenti dell’agenzia.

Quindi, insomma, no: non si possono stabilizzare, costa troppo. E allora? La controproposta è quella di attendere ancora qualche mese, almeno fino a maggio, giusto il tempo di rimettere su nuove selezioni pubbliche, ma sempre per contratti di collaborazione. La questione però è complicata, perché intanto potrebbe entrare in vigore il decreto che abroga il lavoro a progetto (avverrà a settimane), e per attivare le collaborazioni coordinate e continuative (queste ultime non sono state cancellate) serve appunto l’avallo del sindacato. Che Poletti vuole, fortissimamente vuole: per il ministro, tra l’altro, ottenere la firma di Cgil e Uil sotto quell’intesa, dopo le proteste e gli attacchi degli ultimi mesi, sarebbe decisamente una bella vittoria.

«I soldi per nuove collaborazioni ci hanno detto che ci sono – conclude Marinelli, del Nidil Cgil – grazie ai progetti Ue. Noi aggiungiamo: quei progetti europei non vengono mai a mancare, e il 90% dei collaboratori fa praticamente già lavoro subordinato, con orari e sedi, quindi per noi sono strutturalmente già parte del personale. Perciò chiediamo che vengano assunti. Tra l’altro, l’inevitabile ritardo nei progetti per la confusione di questi giorni porta una penalizzazione per i fondi Ue dell’anno prossimo: si perde ben il 6%. E se non li assumi, ti esponi a possibili cause: con risarcimenti e l’assunzione con tutela dell’articolo 18, perché scatta dagli anni passati».

Quindi Poletti pensaci. O vuoi rischiare di avere nuovi dipendenti con tanto di rognosissimo articolo 18?

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