Poletti, da Bo Bardi ai pittori manzoniani
A Como, Pinacoteca Civica, "Geo Poletti, collezionista e pittore", a cura di Paolo Vanoli Pittore in una linea da Sironi a Hockney. Il gusto negli acquisti è sotto il segno, da una parte del modernismo brasiliano, dall’altra di Testori e dell’allucinato Paolo Pagani
A Como, Pinacoteca Civica, "Geo Poletti, collezionista e pittore", a cura di Paolo Vanoli Pittore in una linea da Sironi a Hockney. Il gusto negli acquisti è sotto il segno, da una parte del modernismo brasiliano, dall’altra di Testori e dell’allucinato Paolo Pagani
A chi ha studiato la storia dell’arte lombarda il nome di Ruggero, detto Geo, Poletti (1926-2012) risuonerà famigliare, se non altro per alcune mostre recenti tra Roma e Milano dove è stata esposta parte della sua collezione. Ora alla Pinacoteca Civica di Como è aperta Geo Poletti, collezionista e pittore, a cura di Paolo Vanoli. Oggi è l’ultimo giorno, ma resta il catalogo, edito da Dario Cimorelli.
C’è un Geo Poletti pittore, poco noto, rimasto quasi sempre tra le mura di casa, e un Geo Poletti collezionista. Per entrambe queste attività, cioè per la formazione dell’artista così come per le scelte collezionistiche, sono stati fondamentali i viaggi, i soggiorni in Brasile, a Londra, Milano, sul lago di Como, e gli incontri con gli storici dell’arte allievi di Roberto Longhi, Giovanni Testori su tutti.
La fortuna familiare è fatta soprattutto in Sudamerica. È a San Paolo che Poletti passa i primi anni di vita, per poi tornarvi ripetutamente nei decenni successivi. Qualcosa di quella cultura è assorbito, emerge superficialmente nella passione per il calcio e in alcuni suoi dipinti, con i volti dalle fisionomie meticce, ma anche nel modo di collezionare.
Il confronto più immediato è con casa Bo Bardi: negli spazi modernissimi della Casa de Vidro progettata da Lina Bo ci sono i mobili inventati da lei – a volte prototipi, come sculture contemporanee accanto ad altre sculture di legno o marmo – e i dipinti italiani antichi collezionati dal marito Pietro Maria Bardi, spesso senza cornice. Questi ultimi, come quelli che a rotazione sono montati sui totem del MASP – un’altra invenzione di Lina –, diventano testimonianze culturali. Non si punta tanto sulla qualità quanto sulla quantità, quindi su aggregazioni di senso, perché è il confronto con ciò che li circonda dentro e fuori dalla casa o dal museo che ne fa emergere il significato: nella luce di San Paolo le opere d’arte europee si fanno carico di definire l’identità di una classe sociale trapiantata.
Tra i moltissimi quadri raccolti da Poletti sono quelli salvati, mai rivenduti, mai scambiati, che dobbiamo utilizzare per sondare le ragioni più profonde del suo modo di collezionare. Tra i quadri irremovibili ci sono stati quelli dipinti dallo stesso Geo. Anche quelli esposti nelle due mostre alla Galleria del Milione nel ’62 e nel ’67 sono tornati sulle pareti di casa. Malgrado le richieste e le buone recensioni, la pittura è rimasta solo un impegno privato. Si legge la forte influenza di Sironi – conosciuto a Bellagio alla fine del secondo conflitto mondiale – nelle tele degli inizi, poi l’attenzione ad artisti amati da Testori, come Morlotti, ma anche per la Pop e per la pittura inglese di Francis Bacon, Lucian Freud, David Hockney, Claude Rogers, studiata agevolmente a Londra, dove Poletti risedette dall’inizio dei Settanta.
L’attenzione collezionistica verso i pittori caravaggeschi segue strade non troppo distanti, e certamente deve molto a Longhi e ai suoi studi, mentre la concentrazione sulle nature morte antiche fa il paio con certo contemporaneo: De Pisis e soprattutto Morandi. L’opera del pittore bolognese è importante nel diagramma degli interessi di Longhi e allievi, ma anche nella costruzione dell’identità figurativa brasiliana del secondo Novecento (ancora: São Paulo A/R).
La pittura degli altri, e soprattutto quella antica, implica un maggiore distacco, un investimento meno privato, ma può comunque diventare un mezzo d’indagine personale. La tradizione figurativa dei suoi luoghi natali è quindi messa sulla scia de I ricordi figurativi di Alessandro Manzoni, con lo zampino di Testori: Poletti assembla piccoli frammenti di quel racconto in figura, di quel realismo tutto lombardo che riveste le festose torsioni manieristiche di pietà e toni dimessi. Nei Nuvolone, nei Procaccini, avrà trovato le radici poetiche e il senso del proprio stare in un mondo vasto e complesso?
Viene da pensare che la scoperta (in anticipo sugli storici dell’arte) dell’estroso Paolo Pagani, sia la conseguenza di questa ricerca: Pagani è un artista della Valsolda emigrato a Venezia, poco più che bambino, alla fine degli anni sessanta del Seicento. Diventa un pittore spericolato, inquieto, visionario quasi fino all’allucinazione.
La formazione veneziana e le successive influenze si sciolgono in una continua e sregolata ricerca espressiva: è il massimo per un collezionista appassionato che traccia la propria esistenza con i mezzi della pittura. Il nucleo di opere di Pagani acquistato negli anni da Poletti non ha paragone in altre collezioni, pubbliche o private. Copre pressappoco tutta la vicenda dell’artista valsoldese, compresi alcuni picchi visibili a palazzo Volpi, come la Caduta degli angeli ribelli entrata nella collezione di Geo negli anni ottanta e successivamente donata al figlio Huberto, in memoria del quale l’opera è ora in comodato presso la Pinacoteca lariana, e la tela con Sant’Antonio abate e san Paolo da Tebe, dove c’è tanta Venezia e tanta Lombardia, e una capacità di far vibrare un impasto zuppo di pittura lussuosa, verità, grottesco e carni in uno sfogo inventivo rapido, liberatorio, necessario, che ricorda certi lontani antecedenti.
Quello che è stato fatto a Como è in fondo una messa a servizio della collezione di Poletti. Non si è scelto di mostrare solamente i capolavori, ma i dipinti che potevano entrare in dialogo con quelli esposti nelle sale della Pinacoteca civica. Si sono creati dei legami tra le opere, con l’aiuto di qualche prestito esterno (la preziosa Sacra famiglia di Pagani del Poldi Pezzoli, il Bartolomeo Miconi di Alessandro Magnasco da Brera…). L’operazione spinge il museo comasco a darsi un’identità nuova. La collezione civica dice tantissimo sulla città, ma è come congelata, mentre fuori le vie brulicano di turisti che cercano il lago, i negozi, i bar…
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