Pubblicato 4 anni faEdizione del 10 maggio 2020
Nel 1933 Tanizaki scriveva che in Giappone l’ibridazione delle forme letterarie autoctone con quelle euroamericane aveva diffuso la convinzione che la letteratura dovesse essere improntata alla realtà e ogni tentativo di evasione fosse da considerarsi un atto vile. «Eppure anche i fiori, gli uccelli, il vento e la luna, così come le nubi fluttuanti e le gru selvatiche, sono tutt’altro che irreali – obiettava – sono espressioni della natura cui noi, uomini dell’Oriente, ci sentiamo legati a fondo, e nelle quali il nostro spirito ritrova un luogo di appartenenza». La ricerca di un luogo al quale consegnare la propria fisionomia...