Nel 1933 Tanizaki scriveva che in Giappone l’ibridazione delle forme letterarie autoctone con quelle euroamericane aveva diffuso la convinzione che la letteratura dovesse essere improntata alla realtà e ogni tentativo di evasione fosse da considerarsi un atto vile. «Eppure anche i fiori, gli uccelli, il vento e la luna, così come le nubi fluttuanti e le gru selvatiche, sono tutt’altro che irreali – obiettava – sono espressioni della natura cui noi, uomini dell’Oriente, ci sentiamo legati a fondo, e nelle quali il nostro spirito ritrova un luogo di appartenenza». La ricerca di un luogo al quale consegnare la propria fisionomia...