Poesia e politica in Philip Sidney
Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti
Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti
Chi scorre Le vite dei filosofi di Diogene Laerzio non manca di notare il rilievo speciale che è dato, in conclusione delle singole biografie, alla narrazione delle cause e delle circostanze nelle quali avviene la morte del filosofo.
Nel ricostruire il significato esemplare e tramandare la memoria di quei modi estremi, nel contegno di quegli uomini illustri di fronte alla morte, Diogene si impegna a fornire una summa emblematica, la cifra capace di racchiudere il modello al quale furono improntati i comportamenti di una vita, e al quale viene für ewig affidato il lascito di un pensiero.
Questo richiamo alla celebre raccolta di Diogene mi è suggerito dalla descrizione della precoce fine di Sir Philip Sidney (1554-1586) autore dei sonetti di Astrophel and Stella e di Arcadia che, ferito in battaglia, muore per cancrena alla soglia del suo trentaduesimo anno.
Così ce ne dice Mario Praz: «La fine eroica circonfuse d’un’aureola di leggenda questa figura di cortigiano, che si era studiato tutta la vita d’incarnare l’ideale del Castiglione. Si narra che ferito, e languente di sete, cedesse un bicchier d’acqua a un soldato moribondo con le parole: ‘il tuo bisogno è più grande del mio’ e che sul letto di morte improvvisasse una breve poesia, La cuisse rompue, che fece mettere in musica e cantare: fine eroica e teatrale, qual’era negli ideali del Rinascimento».
L’ideale della poesia, che Sidney difende nella sua Apologie for Poetrie, rimasta inedita fino al 1595, alla quale aveva atteso intorno al 1580, ventiseienne («questo mio futile discorso», «questo mio trattatello scritto per sprecare un po’ d’inchiostro», si schermiva).
Futile, fatua apologia? No, se Sidney ne sigla il compimento in quell’integrale encomio ch’egli dedica e ratifica in punto di morte. Una esaltazione della poesia che Sidney fa coincidere con la sua propria morte: che magnifica la sua propria morte. La cuisse, la coscia invasa dall’infezione, fonte di crudo dolore e che sta per ucciderlo, da presente malattia mortale, inesorabile decorso della natura, è trasferita nelle forme del verso che la connettono e compongono come armonia di parole da affidare al canto, da suscitare il canto.
Con La cuisse rompue Sidney, del suo momento supremo fa una realtà che esorbita dal transeunte, dall’effimero, e fissa una dimensione che concentra integralmente la condizione umana in una appropriata, corrispondente e decantata forma: forma universale, non solo mia. Se con il ritmo «il musicista – scriveva Sidney nella sua Apologie – rileva ciò che è in armonia con la Natura e ciò che non lo è, solamente il poeta, rifiutando di soggiacere a tali legami ed elevandosi con la forza della propria creatività, inaugura effettivamente una realtà nuova, sia migliorando ciò che già produce la Natura, che creando ex novo forme mai esistite. Così egli cammina tenendo per mano la Natura, senza esserne limitato dal rigido mandato, ma esplorando liberamente e mantenendosi solo entro l’orizzonte della propria immaginazione».
La effettiva realtà nuova che il poeta crea, in tanto riguarda la formazione di una personalità individuale riconoscibile in quanto richiede e dispone la contestuale crescita di relazioni politiche determinate nel corpo vivo della società. Per questo verso Sidney ribadisce il concetto di architettonica affermato da Aristotele in esordio dell’Etica (I, 1-2) quando chiosa, consentendo: «Essa consiste, io credo, nella conoscenza di sé e nella riflessione etica e politica, con lo scopo non solo di ben conoscere ma anche di ben agire».
La morte di Sidney è conseguenza diretta del suo impegno politico, deriva dalla sua intensa e continua partecipazione alle contemporanee vicende dell’Inghilterra di Elisabetta I. Praz, oltre che poeta, bene definisce Sidney «uomo di stato e di guerra» e non per caso sottolinea come il modello che egli venne a rappresentare abbia svolto una notevole influenza nella cultura letteraria e politica inglese ben oltre l’ultimo ventennio del Cinquecento: «La figura di Sidney – scrive – ha esercitato sulla mente degli scrittori inglesi un fascino che più che dalle sue opere è emanato dalla vita».
La breve vita di Sidney, l’immaginazione e l’impegno.
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