Poche regole di libertà contro l’ordine senza disciplina
Compiacenza “Pensano solo a fare tanti arresti”, questa una delle spiegazioni che il carabiniere della Caserma Levante di Piacenza non coinvolto dava al padre dell’inusuale modus operandi dei colleghi. Non conta […]
Compiacenza “Pensano solo a fare tanti arresti”, questa una delle spiegazioni che il carabiniere della Caserma Levante di Piacenza non coinvolto dava al padre dell’inusuale modus operandi dei colleghi. Non conta […]
“Pensano solo a fare tanti arresti”, questa una delle spiegazioni che il carabiniere della Caserma Levante di Piacenza non coinvolto dava al padre dell’inusuale modus operandi dei colleghi. Non conta il perché del fermo, l’importante è la quantità. E niente offre più pretesti per fermare qualcuno che la cosiddetta “lotta alla droga”, meglio se “leggera”, e ancora meglio se questo qualcuno non è italiano: più facilmente intimidibile, più facilmente ricattabile e quindi più facilmente piegabile a disegni criminosi.
Quando le forze dell’ordine sono sospettate di violazioni di legge subito s’alza la difesa nazional-popolare del “si tratta di poche mele marce”. Purtroppo l’Italia non è immune da efferate brutalità da parte dei tutori della legge. Salvo casi straordinari ed eclatanti, come al G8 di Genova del 2001, nella stragrande maggioranza dei casi violenze e prepotenze sono giustificate dalla lotta allo spaccio, ancor più che quella al narcotraffico internazionale. Mentre non si ha notizia di boss mafiosi deceduti in caserma, atti di forza e violenze estreme contro individui deboli, spesso estranei ai gravi delitti loro contestati, ce ne son state fin troppe per un paese che si riempie la bocca di “legalità” a ogni piè sospinto. Il proibizionismo crea crimine, criminali e, col passare del tempo, ha corrotto chi lo deve imporre con la forza.
Se questi carabinieri in poco tempo sono riusciti ad accumulare ingenti ricchezze personali, potere di ricatto, anche nei confronti dei propri superiori, e controllo del territorio manu militari è stato perché da 30 anni si continuano a investire risorse umane e finanziarie – e propagandistiche – nella cosiddetta “lotta alla droga”. Poteri che a Piacenza nei mesi del lockdown sono diventati molto più che “pieni”.
Prepotenze, minacce e violenze – addirittura torture! – che segnalano un preoccupante tasso di corruzione, falsi ideologici, estorsioni, connivenze e omertà che hanno portato la Procura di Piacenza ad affidare alla Guardia di Finanza l’indagine “Odysseus” perché i magistrati non si fidavano dell’Arma. Se dovessimo star dietro all’indignazione istituzionale, questa sfiducia, unita al fatto che l’intera caserma è stata messa sotto sequestro, basterebbero a pretendere una commissione d’inchiesta parlamentare sulla qualità dell’operato delle forze dell’ordine. Per il momento neanche un tweet.
Il Libro Bianco sulle Droghe, pubblicato a giugno da decine di associazioni della società civile, denuncia come dal 1990 oltre 1,2 milioni di persone siano state segnalate ai Prefetti, ancor di più quelle fermate e centinaia di migliaia son stati gli arresti che hanno riempito all’inverosimile le patrie galere in virtù di una “lotta alla droga” che non ha diminuito d’un grammo la presenza delle sostanze proibite in Italia o nel mondo.
Di fronte a questo “scandalo” senza precedenti il Viminale tace. Solo qualche mese fa la Ministra Lamorgese, in linea coi suoi predecessori, prometteva il pugno duro contro il piccolo spaccio perché rende insicure le città e travia i giovani. Nuove opportunità per colpire duramente i “pesci piccoli”. Le mele marce, anzi putride, di Piacenza sono il prodotto di leggi che per tutelare l’ordine e la salute pubblica hanno affidato al diritto penale la gestione di comportamenti individuali che nella stragrande maggioranza dei casi non provocano vittime. Con poche e chiare regole di libertà, non solo si eviterebbe l’entrata nel circuito penale di centinaia di migliaia di persone ma si toglierebbe un potere incontrollato a chi impone l’ordine senza disciplina.
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