Pnrr, tra Nord e Sud la disuguaglianza delle risorse
Diseguaglianze La priorità era dei comuni svantaggiati, per ridurre i divari, come da indicazioni Ue. Ma si scopre che tra questi ce ne sono tra i più ricchi del paese. Il governo non può non sapere
Diseguaglianze La priorità era dei comuni svantaggiati, per ridurre i divari, come da indicazioni Ue. Ma si scopre che tra questi ce ne sono tra i più ricchi del paese. Il governo non può non sapere
Sulla stampa napoletana (Marco Esposito, Il Mattino, 2 settembre) leggiamo dell’assegnazione di 700 milioni in materia di materne e asili nido, da inserire nella contabilità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In principio, la priorità era dei comuni svantaggiati, per ridurre divari territoriali e diseguaglianze in linea con le indicazioni Ue. Ma si scopre che tra i comuni «svantaggiati» compaiono alcuni tra i più ricchi del paese, che drenano risorse a danno di quelli più poveri secondo i parametri economici pur richiamati nel bando.
Come al solito, il trucco c’è, e si vede. Il bando di gara prevedeva che il cofinanziamento da parte dei comuni desse un punteggio aggiuntivo commisurato all’entità. Ed è allora ovvio che il comune ricco possa cofinanziare di più. Così, il comune di Milano vince su Venafro (provincia di Isernia), che pure lo precedeva in classifica prima del cofinanziamento. Milano batte Venafro uno a zero.
È STORIA ANTICA. Ad esempio, un meccanismo non diverso ha penalizzato le Università del Mezzogiorno nella assegnazione di risorse legate all’eccellenza perché questa è misurata tra l’altro con il tempo necessario per trovare un posto di lavoro dopo la laurea. Una competizione che gli atenei meridionali possono solo perdere, e non per proprio demerito.
Questo paese deve decidere se vuole davvero ridurre divari territoriali e diseguaglianze, oppure no. Chi a Palazzo Chigi ha scritto la clausola del cofinanziamento non poteva essere tanto stupido da non sapere. Dolo, e non colpa. Questo insegna che sull’attuazione del Pnrr è indispensabile mantenere una occhiuta vigilanza. Tanto più che è ormai documentata – in specie da Adriano Giannola presidente Svimez – l’ingannevolezza della tesi della «locomotiva del Nord». Le statistiche dimostrano che il Nord vincente in Italia affonda nelle classifiche territoriali europee, mentre le regioni del Centro progressivamente si meridionalizzano.
LA «LOCOMOTIVA DEL NORD» ha trainato l’Italia nella stagnazione. Bisogna invece avviare il secondo motore del paese nel Sud, e a tal fine non bastano certo il turismo, la cultura e qualche eccellenza agroalimentare. Sono indispensabili un progetto lungimirante e una ferma volontà politica. In questo contesto colpiscono in specie due cose. La prima è l’esternazione di Conte sulla legge speciale per Milano, considerata la vera locomotiva d’Italia. Non vogliamo pensare che ignori il contrasto radicale tra la locomotiva del Nord e il secondo motore da avviare nel Sud. La sua proposta è del resto opinabile anche con riferimento alla sola Lombardia e alle sue aree svantaggiate. Capiamo la sua ansia di cercare legittimazione e consensi come capo politico del Movimento 5S.
Ma la via scelta non è quella giusta, pur nel contesto della competizione amministrativa in atto. In prospettiva, servirà poco a M5S racimolare qualche stentato consenso in più nell’arco del Nord, dove è in una condizione di comparativa debolezza. La seconda è la ripartenza del circo dell’autonomia differenziata. È anzitutto censurabile che la ministra Gelmini riprenda la prassi dell’occultamento targata Stefani. Le rumorose rimostranze di Zaia riportate in specie dalla stampa locale ci dicono dell’esistenza di bozze di accordo. Diversamente, di cosa si lamenta? Ma sono tenute, per quel che sappiamo, coperte, e dovremo aspettare qualche meritoria gola profonda che le renda pubbliche.
VOGLIAMO SAPERE su cosa si sta trattando, in che termini, e con chi. Come si vuole modificare la legge quadro già di Boccia? Quali conclusioni ha raggiunto la commissione istituita dalla ministra? È vero o no che Zaia non vuole assolutamente che il Parlamento metta mano sugli accordi raggiunti tra le singole regioni e Palazzo Chigi? È vero o no che si vuole attivare il federalismo fiscale – che impatta sulla distribuzione territoriale delle risorse – prima del 2026, e quindi senza sapere quale paese uscirà dal Pnrr?
Quel che accade non è degno di un paese democratico. Ci aspettiamo che i parlamentari delle commissioni competenti – affari costituzionali, finanze, bilancio, bicamerali per le questioni regionali e il federalismo fiscale – pretendano di vedere le carte e di discutere. O forse preferiscono vivacchiare, magari sperando che alla fine arrivi la mordacchia di una questione di fiducia? Sarebbe allora difficile contrastare l’opinione di non pochi che gli eletti siano solo dei costosi mangiapane a ufo.
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