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Pnrr, il governo ammette i ritardi

Pnrr, il governo ammette i ritardiMaro Draghi – Ansa

Passaggio di consegne Consegnata la seconda relazione alle camere: avanti solo le vecchie opere. Draghi irritato con Meloni per le critiche, lei cambia tono: ero costruttiva

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 7 ottobre 2022

«Non mi pare che ci sia stato uno scontro» dice Giorgia Meloni, arrivando alla camera per un altro complicato giorno di lavoro attorno alla lista dei ministri. Ma è un po’ tardi per sperare di nasconderlo, tanto che la presidente del Consiglio in pectore si arrabbia con i suoi: le sue parole sui ritardi del governo Draghi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), pronunciate a porte chiuse, dovevano restare segrete. Invece qualcuno tra i dirigenti di Fratelli d’Italia che le ha ascoltate le ha riferite svelto alle agenzie. Sono giornate difficili anche dentro quel partito, la corsa agli incarichi lascia inevitabilmente sul terreno più di uno scontento. Draghi ha preso malissimo le parole di Meloni, ne è rimasto anche sorpreso tanto più che le stava dando una bella mano coprendola in Europa.

Pare che al presidente del Consiglio in carica, più che le osservazioni sui tempi di attuazione del Piano di colei che presto prenderà il suo posto, abbia giudicato malissimo le ragioni per le quali Meloni ha spiegato che non sarà lei ad andare al Consiglio europeo sull’energia del prossimo 20 ottobre. «Si rischia un fallimento, di non ottenere niente», ha detto Meloni nella riunione di partito, continuando la strategia della campagna elettorale per cui un giorno appare moderata e draghiana all’esterno e il giorno dopo identitaria e rassicurante per i suoi all’interno. Ufficialmente la ragione per la quale non pensa di andare al vertice è che per quella data il suo governo non avrà ancora ricevuto la fiducia. Formalmente non sarebbe un ostacolo, è chiaro però che Meloni sta riscontrando più problemi del previsto nella formazione del governo. Anche ieri ha concluso la giornata twittando la notizia che sta lavorando per una squadra di «alto profilo», ma presto anche i suoi elettori cominceranno a farsi domande su quello slogan di campagna elettorale che già sembra una promessa tradita: «Pronti!».

Per Draghi è molto pericoloso che il futuro governo già dica che sul tema dell’energia, e più in concreto del tetto comunitario al prezzo del gas, non si potrà ottenere niente. Ed è molto grave che si accusi il governo uscente di ritardi, visto che è stato il suo esecutivo ad avere la luce verde dall’Europa per la nuova tranche da 21 miliardi appena qualche giorno fa. Il presidente del Consiglio in carica avrebbe fatto arrivare un messaggio molto chiaro alla leader di Fratelli d’Italia: sei sicura che per te sia una scelta saggia rinunciare proprio adesso alla mia copertura con l’Europa? La risposta evidentemente è no, perché il tono di Meloni è immediatamente cambiato. «È il governo a scrivere nella Nota di aggiornamento dal Def che entro la fine dell’anno spenderemo 21 miliardi dei 29,4 che avevamo. Noi con spirito costruttivo diciamo che dobbiamo fare ancora meglio».

Ma intanto proprio ieri palazzo Chigi ha consegnato alle camere la seconda relazione sull’avanzamento del Pnrr dalla quale appare chiaro che qualche difficoltà nel rispetto dei tempi previsti c’è, nascosta dietro sfumature di linguaggio. «I risultati sono significativi», scrive Draghi nella relazione, garantendo che l’attuazione del Piano «procede più velocemente dei cronoprogrammi originari. La fine della legislatura ha richiesto uno sforzo supplementare, per fare in modo che, dopo le elezioni, si potesse ripartire da una posizione il più avanzata possibile». Poi però si riconosce gli effettivi pagamenti sono riferiti quasi esclusivamente «a disposizioni antecedenti il Pnrr e quindi in una fase attuativa più matura». E la relazione dà esplicita conferma del fatto che una revisione degli investimenti previsti è possibile: gli aumenti dei prezzi sono infatti tra le «circostanze oggettive» che possono consentire aggiustamenti. Correzione degli investimenti, però, non delle riforme che vanno portate a compimento. E la Commissione riconosce che «l’invasione russa dell’Ucraina ha portato a un aumento non prevedibile dei prezzi».

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