Fioccano critiche, proteste e accuse. Il governo non deflette di un centimetro e nel giro di poche ore chiude il cerchio intorno alla Corte dei Conti. Prima il presidente della camera Fontana sentenzia a favore dell’ammissibilità dell’emendamento che impedirà alla Corte di esaminare ed esprimersi sul Pnrr in itinere: «Modalità del controllo successivo sulla gestione e non del controllo concomitante, come da dl 77/2021 del governo Draghi», sintetizzerà al senato Fitto. Poi le commissioni congiunte affari costituzionali e lavoro di Montecitorio approvano l’emendamento e nel giro di poche ore anche l’intero decreto legge. Sarà in aula alla camera il 5 giugno e la settimana seguente al Senato.

DI FRONTE alle stesse commissioni congiunte, il presidente della Corte Guido Carlino critica l’emendamento, «ribadisce la propria contrarietà» sia alla proroga dello scudo erariale che alla cancellazione del controllo concomitante sul Pnrr.
Però usa toni contenuti, non strepita, mantiene le posizioni ma senza calcare la mano. «Non si può parlare di bavaglio alla Corte. Ci sono diversi strumenti di controllo», afferma quasi conciliante Carlino. Nel merito però è secco. «Lo scudo erariale è stato motivato in passato col timore degli amministratori a introdurre atti per timore del danno erariale ma i motivi del ‘timore della firma’ vanno ricercati invece nella confusione legislativa, la scarsa preparazione, gli organici all’osso». Il presidente della Corte bersaglia lo scudo ma gli stessi appunti erano stati mossi al governo Conte, che lo aveva introdotto, e a quello Draghi, che lo aveva prorogato. Il governo non fa una piega.

Critica assoluta anche sull’abolizione del controllo concomitante ma qui i toni sono meno caustici, perché la Corte dispone comunque di «altri strumenti di controllo» e perché in ogni caso si rimette «alla scelta del legislatore». Non significa che il presidente rinunci a difendere quello strumento, che ha «una funzione propulsiva», è «più moderno rispetto al controllo tradizionale ex post», agevola i rapporti con la Pa grazie ai «suggerimenti per un miglior perseguimento degli obiettivi». Minori controlli, inoltre, espongono al rischio di un aumento dei contenziosi, col risultato di rallentare tutto.

L’OPPOSIZIONE, dopo l’audizione di Carlino, chiede di ritirare l’emendamento ma è repertorio. Non ci crede e non ci spera nessuno e qualche crepa nel fronte delle opposizioni c’è perché Calenda ritiene la stretta del governo «non così rilevante» e in realtà giusta: «La duplicazione dei controlli rischia di complicare i meccanismi di spesa. La scelta del governo non è un atto di autoritarismo». Quello dei doppi controlli è uno degli argomenti che negli ultimi due giorni ha impugnato più volte Fitto: spetta alla Commissione, non alla Corte dei Conti, vigilare sul Piano. Gli risponde il vicepresidente della Commissione stessa Gentiloni: «Spetta ai sistemi di controllo dei vari Paesi controllare frodi e corruzione. Non lo possiamo fare da Bruxelles su 27 Paesi». Baruffe prive di esito. Il governo ha preso la sua decisione, che qualcuno definisce, probabilmente a ragione, il primo vero atto autoritario. Non c’è possibilità di retromarcia.

La delegazione della Corte dei Conti che nel pomeriggio incontra a palazzo Chigi Fitto e il sottosegretario Mantovano capisce l’antifona, fa buon viso a cattivo gioco. Salamelecchi e promesse di piena collaborazione a parte, l’esito è un tavolo che si riunirà a partire dalla settimana prossima per sciogliere i nodi tagliati con la scimitarra dall’emendamento.
Tre punti chiave: la disciplina della responsabilità erariale, i meccanismi del controllo concomitante, l’adozione di un codice dei controlli. I magistrati insistono molto più sul detestato scudo erariale che non sui controlli. Il governo segnala l’opposizione della Corte nella nota finale, non ci ripensa ma «auspica e si impegna a un confronto per l’elaborazione di una disciplina più aggiornata e stabile».

Capitolo chiuso, con le maniere più spicce che si siano viste da quando il governo è in carica. Resta aperto quello delle difficoltà reali. Perché i dati desolanti registrati dalla Corte il governo non li ha mai contestati. Al contrario li conferma.