Michi ha settantotto anni. Lavora come inserviente presso un hotel, a casa vive in perfetta solitudine, ha qualche amica con cui cantare al karaoke, condividere dei pensieri e commentare la realtà circostante. Un’esistenza fatta di gesti ripetuti un giorno dopo l’altro. L’anziana donna fatica sempre di più ad andare avanti, anche perché è circondata da un ambiente ostile che la considera un peso improduttivo.
Già, il nodo è questo: Michi sottrae lavoro ad altri, non partecipa alla crescita economica del Giappone e rappresenta un costo per le generazioni più giovani. E se decidesse di farsi da parte, nessuno avrebbe da obiettare, così almeno la pensano i governanti del paese che elaborano una nuova legge, denominata Plan 75. Un progetto che prevede il diritto a chi ha compiuto settantacinque anni e più di morire volontariamente.

HIROMU è il classico giovane agente che procede senza porsi troppe domande sul proprio operato e, più in generale, sugli scopi dell’azienda per cui si impegna con tanta dedizione. Spiega i vantaggi dell’offerta, i servizi a disposizione, le tempistiche, le modalità dell’intervento, persino i benefici economici. E una volta chiusa la pratica passa al cliente successivo. È a lui che Michi si rivolge quando sceglie di firmare i moduli di Plan 75.

I sacrifici degli anziani renderanno il Giappone un luogo demograficamente migliore. Hiromu ne è convinto. Perciò segue alla lettera le istruzioni del suo capo fino a quando nella sua stanza non si presenta lo zio, un uomo ricomparso dal nulla, dall’oblio nel quale era precipitato senza che qualcuno se ne accorgesse. Un vedovo di poche parole, talmente abituato alla solitudine da aver dimenticato la possibilità di un dialogo col prossimo. Pure lui ha aderito al programma governativo.
Yoko è impiegata in un call center. Risponde al telefono, aiuta chi sta percorrendo l’ultimo tratto di strada prima che la vita si interrompa. Non assiste persone che vorrebbero disperatamente continuare a far parte di questo mondo o che hanno accettato la propria sorte. Parla con chi ha scelto di non essere più. Ascolta e intanto fornisce le ultime istruzioni. Michi è una delle sue utenti. Sarà per la voce o per un sentimento al quale è inutile dare una spiegazione, ma tra le due donne inizia un’imprevedibile amicizia.

MARIA proviene dalle Filippine. È un’amorevole operatrice socio-sanitaria in una casa di cura. Una donna emigrata in un altro paese per aiutare la propria famiglia. Ed è mossa da un’urgenza che non concede proroghe. Ruby, la figlia di cinque anni, è nata con una malattia cardiaca e ha bisogno di operarsi al più presto, altrimenti non vivrà a lungo. E così, anche la giovane assistente si unisce al più remunerativo piano di suicidi di massa.
Questi cinque personaggi sono i protagonisti di Plan 75, opera prima della regista nata a Tokyo, Hayakawa Chie. Presentato a Cannes (Un Certain Regard) e, in Italia, al Festival di Torino e al Far East di Udine, il film si presenta apparentemente come una storia distopica che descrive il declino etico di un’intera società che stabilisce burocraticamente le regole dell’esistere e del non esistere. In piccola parte è così. Le vicende intime di Michi, Hiromu e degli altri, però, raccontano soprattutto la solitudine che affligge chi ha cessato di avere una funzione, un compito produttivo. Il paradosso è che proprio nell’atto terribile di volersi dare la morte, nell’adesione a un brutale programma di sterminio pianificato, riemerge la socievolezza, l’attenzione e la cura verso l’altro. Quasi a dimostrare che ogni processo dis-umanizzante è destinato alla sconfitta.