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Pixar alla genovese

Pixar alla genovese

Cinema Incontro con Enrico Casarosa, il regista che ha diretto «Luca» l’ultimo film prodotto dagli studios americani, su Disney +

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 22 giugno 2021
Luca CeladaLOS ANGELES

Incrociamo Enrico Casarosa a Los Angeles dove si è tenuta la prima mondiale del suo Luca, l’ultimo film Pixar attualmente disponibile sulla piattaforma Disney+. Il quarantanovenne regista genovese è di passaggio: appena tornato dalla presentazione del film all’acquario di Genova, sua città natale, e diretto a San Francisco dove vive da vent’anni e lavora sul campus Pixar di Emeryville. Per lo studio di proprietà Disney aveva già firmato il corto La Luna, candidato ad un Oscar nel 2011. Anche quel film, soffuso di atmosfere da Piccolo Principe, suggeriva, per ambientazione, un mare nostrum dell’infanzia e dell’incanto. Luca è più esplicitamente autobiografico e collegato ai luoghi dove Casarosa è cresciuto prima di raggiungere inizialmente New York e trovare il grande successo come «matita in fuga». Luca è una favola di formazione sull’amicizia fra due preadolescenti alla ricerca di un’identità e dell’accettazione in un mondo emarginante; una storia ispirata alla vera amicizia dell’autore col compagno di avventure dei 12 anni. E un film che porta in un lungometraggio animato globale il sapore delle estati di infanzia e del territorio incomparabile della Riviera di Levante.

Una storia di pesci fuor d’acqua?

Sì senz’altro, letteralmente … e non.

Come nasce?
Si basa su quella mia e del mio amico Alberto. Siamo cresciuti a Genova tutti e due, io l’ho conosciuto verso i dodici anni. Ero molto attaccato alla mia famiglia, timido mentre lui era decisamente più estroverso. Ogni settimana aveva una nuova idea, era molto libero perché la sua famiglia non era altrettanto presente. Correvamo per i carruggi, ci ficcavamo un po’ nei guai… mi ha fatto crescere molto. Per cui la domanda che mi è parsa interessante quando si parla di queste amicizie cosi profonde che abbiamo a quella età, era «ma sarei la stessa persona se non l’avessi conosciuto, se non fossimo cresciuti insieme», perché in effetti questa bella metafora della spinta di lanciarsi da uno scoglio in mare è vera, l’ho sentita. Perciò quella è diventata la cosa che volevamo approfondire. La cosa bella è che per tanta gente sembrava personale ma anche universale perché moltissimi dei nostri collaboratori mi dicevano «ah anch’io avevo un amico così», oppure «io ero il casinista che trascinava sempre l’altro…». Questo è stato il cuore dell’ispirazione.

Fra le altre cose il film sembra un’ode alla Liguria…

La production designer, lo sceneggiatore e la squadra di base è venuta in Riviera e io facevo la guida che diceva «dobbiamo andare qui, mangiare questo, assaggiare quest’altro». Li ho portati a Camogli perché volevo fargli vedere non soltanto le Cinque Terre ma anche altri bellissimi borghi della Riviera: Punta Chiappa dove andavamo sempre. Poi chiaramente le Cinque Terre ma anche il Golfo dei Poeti, Tellaro con quella bella leggenda del «polpo campanaro». È stato bello scoprire anche alcune di queste leggende che caratterizzano i nostri borghi hanno. L’isola del Tino è bene o male l’ispirazione per quella dove si nascondono i nostri mostriciattoli. In una seconda fase abbiamo mandato il team della fotografia per cui era importante sentire e percepire la qualità unica di quella luce.

Enrico Casarosa

C’è anche molto cinema italiano nell’idea originale?

Sì, il cinema italiano è stata una ispirazione forte per esempio Fellini ed il suo senso dell’onirico, dei sogni. La nostra idea era mostrare questo bambino e far vedere da subito il suo mondo immaginario. È stato utile rivedere 8 ½ per le nostre scene così un po’ da sogni ad occhi aperti – vi sono poche sequenze d’inizio belle come quella di 8 ½. Mentre invece dai Vitelloni mi viene in mente la fine … quella scena in cui tutti gli amici rimangono e l’unico che va via nel treno che si vede nei loro letti, è una delle scene di Fellini che amo di più. Poi Visconti … la Terra Trema è stato un riferimento perfetto per come erano davvero i pescatori negli anni 50.

Che strada si fa da Genova a Emeryville?

La mia storia è composta da tanti passetti. C’entra sicuramente col film quel sentimento molto complesso di andare, di lasciare la tua casa, quel misto agrodolce di tristezza e di speranza, di sentire il tuo destino che ti chiama. Una volta arrivato a New York mi sono iscritto a scuola per imparare l’illustrazione, l’animazione perché ho sempre amato disegnare. Poi pian pianino ho potuto metter il piede nella porta come diciamo negli Stati uniti. Piccoli studi, poi serie televisive, si è trattato molto di imparare sul lavoro, inizi a disegnare roba da niente, il «prop design» gli oggetti di scena «disegna un matita», roba così poi sfondi ..storyboard di serie televisive fino ad arrivare a Blue Sky Studios, sempre sulla East Coast. L’Era Glaciale è stato il primo film di cui sono riuscito a fare parte. Quello non è un passo facile perché c’è ancora una certa divisione fra tv e cinema. Dopodiché ho fatto un fumetto mio che si chiamava Le avventure di Mia su di un pilota negli anni 30 che abitava nelle Cinque Terre (quindi lo sfondo della Cinque Terre mi ha sempre affascinato). La Pixar lo ha notato, gli ho mandato un portfolio e nel 2002 sono sbarcato ad Emeryville. E in effetti quando arrivi sei molto contento perché è uno studio mitico nell’animazione.

Vi si lavora sempre come un tempo, come in una factory collaborativa?

La collaborazione è veramente alla base. Tu hai una buona idea ma puoi contare anche su ottimi suggerimenti che contribuiscono alla riuscita di ogni film. Noi ogni tre mesi mettiamo su un palinsesto di storyboard e «guardiamo» il film con voci provvisorie, colonne sonore anche quelle «scratch», cioè che poi si buttano. Lo facciamo vedere a tutti nello studio e in base all’input quello che funziona si tiene e quello che non funziona si butta. Questo processo è molto importante perché ti confronti con tanti altri registi dalla grande esperienza, gente molto intelligente e creativa, e tu, come regista, hai questo bacino di talento da cui trarre consiglio. Perché dopo tanto tempo di immersione nella realizzazione di un film può esserci anche quell’effetto di essere «nella foresta» e non vederla per via degli alberi. Avere degli occhi freschi, qualcuno che ti dà una mano e un suggerimento è una peculiarità della Pixar. Pete Docter il nostro produttore esecutivo, è stato un vero mentore per me, tra l’altro anche lui di temperamento è un po’ più «Luca» che «Alberto» come me perciò io l’avevo sempre osservato da lontano pensando «beh, se riesce a farlo lui un film allora magari anche io…»

Deve essere un momento intenso condividerlo ora insieme agli spettatori…

Abbiamo fatto l’anteprima qui a El Capitan (storico cinema della Disney su Hollywood boulevard, ndr.) ed è stato bellissimo vederlo con il pubblico, soprattutto dopo un anno e mezzo di confino. Vederlo insieme sentire le reazioni e le risate è bellissimo e anche un po’ strano come momento.

Lavori in digitale ma mi sembra che tu abbia forti radici nella manualità…

La mia grande passione è da sempre il fumetto. Sono cresciuto a Topolino, Dylan Dog e fumetti americani. Ho imparato l’inglese con tanto Spider man e X-Men perciò ho sempre amato disegnare. E mi sono ispirato anche da Miyazaki, un disegnatore che crea personalmente i suoi progetti: l’ho sempre tenuto nel cuore. Con molti colleghi ci piace disegnare «sul momento», con gli acquarelli è bello. E abbiamo cercato di portare un po’ di quel sapore ovviamente anche nel film, l’espressività del «fatto a mano» trasmettere un po’ di quel calore e rimanere più lontani dal realismo che il computer spesso è portato a fare.

«Luca» è uscito direttamente sulla piattaforma Disney: ti dispiace che il film non sia stato proiettato anche sul grande schermo?

Sì è un pochino triste perché è bellissimo stare insieme e condividere un’esperienza nel buio della sala. Manca a tutti il cinema, però siamo anche grati per il fatto di poterlo condividere con tutto il mondo. Perché ancora in moltissime nazioni il fatto che una famiglia possa guardarlo insieme in sicurezza è importante. La consolazione è che si può rivedere (ride. ndr). Quindi mettiamo tantissimi dettagli che su uno schermo grande sono molto più visibili quando, eventualmente, si ha la possibilità di rivederlo in una sala. Al momento la situazione nel mondo è ancora quella che è. Ed è stata parte di questo film: abbiamo avuto momenti in cui non eravamo neanche sicuri di terminarlo. Poi è stato bellissimo riuscire a finire in tempo.

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