Scuola

Più tasse, meno diritti. Gli atenei salvati dagli studenti

Più tasse, meno diritti. Gli atenei salvati dagli studenti

Il caso Dossier Udu: in 10 anni aumentate del 61%, fondi all’università tagliati di 1 miliardo. 474 euro in più a studente. Questo l’aumento medio delle tasse universitarie. A Sud è record: Lecce +207%, Bari +172%. Crescita inferiore a Nord: +43%

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 4 novembre 2017

In dieci anni le tasse universitarie sono cresciute del 61%, 474 euro in più a testa sul valore medio. Dal triennio 2009-2011 il fondo ordinario di finanziamento degli atenei è stato tagliato di un miliardo. Da allora non è mai più stato rifinanziato. È importante tenere ben presente questo rapposrto inversamente proporzionale quando si legge il dossier «Sulle nostre spalle» pubblicato ieri dall’Unione degli Universitari (Udu). L’aumento della tassazione è stato usato per rimpinguare una parte delle risorse sottratte dai governi dell’ultimo decennio all’università e alla ricerca pubblica. Com’è accaduto per la scuola, dove il taglio è stato imponente (8,4 miliardi di euro), gli studenti, e le loro famiglie, hanno permesso all’istruzione pubblica – che dovrebbe essere tendenzialmente gratuita – di sopravvivere.

RESTANDO ALLE UNIVERSITÀ statali il gettito complessivo della contribuzione a livello nazionale nel periodo preso in considerazione è passato da circa un miliardo e 200 milioni a un miliardo e 600 milioni: 400 milioni in più. Se visti in dettaglio questi dati colpiscono per la loro evidenza: nel 2006 la tassa media a livello nazionale era di 775 euro, dieci anni dopo lo studente paga circa 1.250. Se diviso in aree geografiche sottolinea come il Sud abbia subito i maggiori aumenti percentuali con un +90%, mentre il Centro (+56%) e il Nord (+43%) hanno totalizzato variazioni molto consistenti anche se partivano da una tassazione media già più alta. Al Sud alcuni picchi sono davvero impressionanti: Lecce +207,5%, Bari +172%, Benevento +180%, Napoli (seconda Università) +176%, Reggio Calabria +150%.

IL MAXI TAGLIO INIZIALE, e la lunga stagnazione di fondi che è seguita, hanno costretto gli atenei ad aumentare le tasse, approfittando di una riforma dei criteri del nuovo Isee. Una misura che si è resa necessaria per evitare di creare un «rosso» nei bilanci degli atenei, scongiurando in questo modo l’ipotesi di commissariamento. La logica è la stessa dell’austerità europea, applicata all’università. Così una parte dei fondi mancanti sono stati presi dalle tasche delle famiglie.

QUESTA DINAMICA spiega anche il taglio delle borse di studio. Secondo il rapporto Eurydice 2017, pubblicato dalla Commissione Ue, oggi in Italia le ricevono meno del 10% degli iscritti all’università, mentre in Spagna i borsisti sono aumentati del 55%, in Francia del 36%, in Germania del 32%. Oggi, in Spagna, il 30% degli studenti riceve una borsa; il 39% in Francia. Staccatissima la Finlandia dove il 72% degli studenti sono borsisti. Se, e quando, la Gran Bretagna lascerà l’Unione Europea (le tasse sono a 10.028 euro all’anno in media), il nostro paese scalerà la classifica delle tasse universitarie, piazzandosi al secondo posto con 1400 euro medi a studente, preceduto solo dall’Olanda con 2.006 euro medi. Solo nelle lauree triennali, ad esempio, la tassa media è passata da 1262 euro a 1316 in un solo anno: il 4,3% in più.

QUELLA che stiamo descrivendo è una crisi di sistema e di senso sociale dell’università generata anche dal fallimento degli obiettivi stabiliti dal determinismo economicistico della «riforma» Berlinguer-Zecchino – quella che introdusse nell’università i corsi del «3+2»: aumentare il numero dei laureati moltiplicando le lauree (brevi e magistrali. Una finzione simile a quella dei contratti precari. Ci sono riforme che li hanno «liberalizzati» e tutti fingono di credere che corrispondano ai posti di lavoro. Fonti Ocse confermano: nel 2016 tra i 25-34enni il 26% aveva una laurea. La media europea è del 40%.

«QUESTO SISTEMA ha già espulso studenti delle fasce meno abbienti e moltiplicato il numero chiuso – sostiene Elisa Marchetti (Udu) – Gli atenei vanno rifinanziati per potersi rendersi autonome dalle tasse. L’obiettivo della gratuità dell’università non è un’utopia, ma una necessità». «Ne trarrebbe un vantaggio il Paese intero» aggiunge Claudia Pratelli (Sinistra Italiana).

VENERDÌ 17 NOVEMBRE, in occasione di una giornata internazionale a loro dedicata, gli studenti torneranno in piazza su questo programma.

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