Più sussidi, meno diritti, le ricette della destra
La risposta della destra all’emergenza economica e sociale. Dietro l’identità nazionale si rilancia una gerarchia di poteri e una scala di valori minacciati dalle libertà civili
La risposta della destra all’emergenza economica e sociale. Dietro l’identità nazionale si rilancia una gerarchia di poteri e una scala di valori minacciati dalle libertà civili
La destra estrema in Italia e i partiti nazionalisti e populisti in Europa guadagnano voti cavalcando l’onda della crisi acuta che investe il modello neoliberale (Stato minimo e libertà di mercato). Il Pd e le forze socialiste del continente appaiono invece spiazzati dalla brusca interruzione di un’espansione economica che, soprattutto dopo il crollo dell’Urss, sembrava inarrestabile a livello mondiale.
La sinistra tradizionale prima è rimasta abbagliata dalla crescita globale, spinta dalle innovazioni tecnologiche, poi si è smarrita su «terze vie» (un mix di socialismo e liberismo) che avrebbero dovuto condurci ad un avvenire di sviluppo, di benessere, di diritti umani e di libertà per tutti. Questa rappresentazione ottimistica non è stata scalfita nemmeno dalle forti scosse finanziarie.
Ora lo scenario è del tutto cambiato. Con il climate change, la pandemia e la guerra ci siamo ritrovati in un’emergenza globale. L’Europa è al centro di forti tensioni geopolitiche tra mondo occidentale e mondo euro-asiatico e rischia di rimanerne schiacciata. Con la crisi energetica, corredata da inflazione e recessione, sono cadute le speranze in una fase post-Covid di crescita.
Da «minimo» lo Stato è chiamato a svolgere un ruolo «massimo» per tamponare l’emergenza e le falle aperte nel tessuto produttivo e sociale, restando sottinteso che lascerà il ponte di comando dell’economia non appena torna il sereno. I governi, insomma, nel ruolo di pronto soccorso delle ferite che la «mano invisibile» del mercato non è in grado di curare. La destra, a differenza della sinistra, è stata più pronta a cogliere questo passaggio di fase, ha intercettato il malessere sociale, ha interpretato i bisogni delle imprese e dei lavoratori autonomi, ha chiesto a gran voce un intervento «statale» massiccio, immediato e a debito.
Il Pd ha continuato in una politica di supporto «responsabile» e di subalternità alla razionalità tecnica dell’agenda Draghi, con il corollario di riforme mancate (vedi fisco e concorrenza) e provvedimenti sbilanciati a favore delle imprese. Ha subordinato l’interesse generale agli interessi privati. Ha trascurato le politiche redistributive, che sono il punto esatto in cui la sinistra incrocia concretamente le esigenze e i bisogni dei redditi medio-bassi. E’ apparso ambiguo e sfuggente persino sulla questione sociale, sul reddito di cittadinanza e sulle disuguaglianze. Non ha ritenuto di replicare al leader di un partitino di centro che afferma che la povertà è «colpa» di chi la subisce e raccoglie le firme per cancellare il Rdc.
Quando 40 miliardi, con il superbonus per l’edilizia, vengono trasferiti ai ceti benestanti senza che nessuno sollevi obiezioni, come se in Italia non esistesse un grande problema di giustizia sociale e ambientale, viene purtroppo confermato che il «bene comune» – di cui parla Norma Rangeri (su nell’editoriale di domenica scorsa) non è più la bussola che orienta il Pd.
Negli ultimi 10 anni, con il Partito democratico quasi ininterrottamente al governo del paese, è avvenuta una sistematica redistribuzione di risorse dalle fasce deboli a quelle medio-alte, con il risultato di segmentare la società in categorie e gruppi d’interesse.
Nei momenti di crisi grave, qual è la nostra, la destra incarna naturaliter l’individualismo esasperato, i privilegi corporativi e le rendite di posizione. Fratelli d’Italia ha beneficiato abilmente della diffusa preoccupazione su come e quanto la crisi possa incidere sulle condizioni di vita e intaccare il raggiunto benessere (piccolo o grande). La distribuzione a pioggia di sussidi e sovvenzioni, oltre a essere uno spreco, è una politica alternativa al Welfare State.
La risposta della destra all’emergenza economica e sociale è risultata più convincente. Dietro la riaffermazione dell’identità nazionale c’è la volontà di ripristinare una gerarchia di poteri e una scala di valori minacciati dal diverso/altro. Con la contrarietà ai nuovi diritti si intende preservare i valori tradizionali e il ruolo dell’autorità (familiare, statale e religiosa). La chiusura, lo spirito di esclusione, la difesa del confine, rappresentano per la destra il modo più efficace per consolidare la coesione interna. Il nazionalismo e l’alleggerimento dei vincoli europei sono considerati la ricetta più valida per risolvere la crisi del modello liberal-liberista in una dimensione domestica.
Con buona pace dell’atlantismo di Giorgia Meloni, esiste una evidente sintonia con Viktor Orbàn sull’idea di un’Europa «bianca e cristiana», da difendere dalla «sostituzione etnica» o negli attacchi a George Soros (la grande finanza ebraica). Com’è evidente la linea di continuità che unisce le idee di Fratelli d’Italia agli attacchi di Putin all’«Occidente collettivo». Il neo-nazionalismo declina «Dio, Patria e Famiglia» in opposizione a «Libertà, Eguaglianza, Fratellanza». Se le cose dovessero peggiorare stiamo certi che la moderazione, di cui oggi fa bella mostra la presidente del Consiglio in pectore, lascerebbe il posto alla repressione e ad un attacco agli spazi di democrazia.
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