Anticipando di cinque anni uno spartiacque mondiale – la conferenza Onu su ambiente e sviluppo a Rio de Janeiro –, Alexander Langer nel 1987 diede vita insieme a un gruppo di attivisti alla Campagna Nord-Sud. Biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito.L’IMPEGNO, ATTUALISSIMO, della campagna Nord-Sud era per la cancellazione dell’ingiusto debito finanziario del Terzo mondo, vincolata a impegni planetari di conversione ecologica e giustizia sociale. «Convivenza tra umani e convivenza tra umanità e natura: i due poli oggetto dell’impegno e della riflessione di Langer, in realtà, nel suo lavoro e nel suo pensiero si intrecciano sempre» ricorda Gianfranco Bettin che ha curato e introdotto la più recente raccolta di scritti, per le edizioni e/o (Alexander Langer, La scelta della convivenza). Langer, promotore della nuova ecologia in Italia ed Europa, politico nelle strade e nelle istituzioni, attivista per la nonviolenza, giornalista e autore, insegnante.

IN «MINIMA PERSONALIA», la densissima autobiografia che apre il libro, Langer (nato a Vipiteno nel 1946) racconta la sua vita di sudtirolese di sinistra. «Nessuna delle bandiere che spesso svettano davanti a ostelli o campeggi è la mia. Non ne sento la mancanza», scrive ricordando i suoi viaggi da studente in Europa. Uno spaesamento fruttuoso, che lo orienta, in quell’epoca anche violenta: «Insieme a diversi amici comincio a capire – a metà degli anni 1960 – che forse un gruppo misto può essere la chiave per capire e affrontare i problemi del Sudtirolo: sperimentare la convivenza in piccolo». In parallelo, si sviluppa la militanza politica – prima in Lotta continua, poi a livello locale con la Nuova sinistra, infine l’approdo nei Verdi, fino all’europarlamento. Determinante l’impegno antimilitarista, anche nel periodo forzato della leva, «in una caserma punitiva di montagna, con i muli» (era stato processato – poi assolto – per vilipendio alle forze armate); là «è il periodo della mia vita in cui sopporto la maggiore fatica fisica e mi trovo tra contadini e operai».

I SUOI «DIECI PUNTI per la convivenza interetnica» delineano i comportamenti necessari per evitare i disastri dell’odio e della guerra. La necessità di nuove relazioni e forme di organizzazione sociale fra gruppi etnici, minoranze e maggioranze L’importanza di mediatori, costruttori di ponti, esploratori di frontiera, di rapporti, di familiarità. Un’alleanza fra «obiettori» dei due fronti in lotta può essere uno strumento di negoziato e pace. Langer si spese moltissimo, anche nella sua veste istituzionale, per la fine del conflitto nell’ex Jugoslavia.

ERA CERTO CONVINTO che «l’Europa abbia fatto malissimo a favorire la disintegrazione della vecchia Jugoslavia», incoraggiando la «formazione di «Stati etnici», e un’ipotesi di cantonalizzazione etnica della Bosnia Herzegovina (…). Per non parlare del traffico delle armi, dell’embargo violato e del gravissimo errore politico di riconoscere nei signori della guerra le voci legittimate a parlare a nome dei loro popoli!»

EPPURE, INVOCARE un intervento armato internazionale, pochi anni dopo l’esperienza funesta della guerra all’Iraq, sembrava in contrasto logico con le convinzioni di cui sopra. E anche con la realtà sul campo, fatta di mutevoli alleanze e opportunismi. La proposta del pacifista Langer, quasi un appello alla Nato di fronte al perdurare dell’assedio a Sarajevo, provocò discussione e scandalo in settori del movimento pacifista e della sinistra. Per la verità, precisò: «Forse sarebbe sufficiente la seria minaccia di usare la forza».

CHISSA’ COSA AVREBBE PENSATO di fronte alla guerra Nato in Serbia nel ’99, che ugualmente divise la sinistra e non risolse nulla. Ma Langer morì suicida a 49 anni, nel ’95; lasciando dietro di sé quel biglietto-esortazione: «continuate in ciò che era giusto».

RICORDA GIANFRANCO BETTIN: «Nelle ultime parole che Langer ci ha lasciato echeggia la disperazione, ma per tutta la vita e per tutto il suo cammino di (convinto, persuaso) militante e di (solido, fine) intellettuale, ciò che ha voluto suscitare è stata invece la speranza e ciò che ha provato a sviluppare è stato un progetto con il quale orientare e a cui ispirare il lavoro politico. Un progetto elaborato sul campo». Questo richiedeva il suo metodo induttivo: partire dai problemi per costruirvi soluzioni, progetti, piani e prospettive, sia a breve che a medio e lungo termine. Avendo chiaro il modello alternativo.

«LENTIUS, PROFUNDIUS, soavius»: questo fu il suo motto-proposta. Essere «più lenti, più in profondità, più dolci». Ribaltando quell’antico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più possente) diventato, «quintessenza della nostra civiltà e della sua competizione».