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Piramide di Micerino, il rischio del «falso»

Piramide di Micerino, il rischio del «falso»Piramide di Micerino

Intervista L'egittologa Monica Hanna spiega perché il progetto del Ministero del turismo e delle antichità di riportare il monumento alla presunta forma d’origine, utilizzando i blocchi di granito rossi che giacciono alla sua base, sia priva di fondamento storico e scientifico

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 7 febbraio 2024

Lo scorso 25 gennaio, il segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egiziane presso il Ministero del turismo e delle antichità ha annunciato di voler completare il rivestimento della piramide di Menkaure – faraone della IV dinastia (2532-2504 a.C.), più conosciuto con il nome ellenizzato di Mykerinos (Micerino) – con i blocchi di granito rosso che giacciono alla sua base.

IL PROGETTO, la cui durata è stimata in tre anni, si avvale della collaborazione dell’anziano archeologo giapponese Sakuji Yoshimura. Quest’ultimo, nel 1978 tentò l’impresa di realizzare nell’altopiano roccioso di Giza una miniatura di 12 metri di altezza della Grande piramide (o Piramide di Cheope), che si eleva invece per 137 metri. L’ambizioso programma nipponico, che prevedeva di portare a termine la struttura in un solo mese con l’impiego delle tecniche e degli strumenti disponibili nel III millennio a.C., si rivelò da subito un clamoroso fallimento. Per questo, il nuovo piano – enfaticamente definito «il progetto del secolo» – ha provocato da un lato sconcerto e dall’altro un ampio dibattito tra il Consiglio supremo delle antichità, la comunità accademica e le autorità locali.
«Il segretario generale avrebbe fatto meglio a pubblicare la proposta ricostruttiva in un’accreditata rivista di archeologia, sottoponendola al parere degli esperti», dice l’egittologa Monica Hanna, preside nonché docente dell’Accademia araba delle scienze, della tecnologia e del trasporto marittimo di Assuan. «La scelta di un approccio mediatico improntato al sensazionalismo – continua la studiosa (molto nota nel suo paese e all’estero per l’impegno profuso nella salvaguardia del patrimonio e a favore della restituzione di reperti iconici della civiltà egizia quali il Busto di Nefertiti e la Stele di Rosetta) – è inaccettabile perché in evidente contrasto con il metodo scientifico».
Ad allarmare Hanna e il gruppo di professionisti con cui ha stilato un dettagliato documento di protesta, è il dichiarato intento di riportare la piramide di Micerino alla presunta forma d’origine. Gli specialisti evidenziano infatti che i blocchi di granito sparsi attorno al monumento funerario si trovano allo stato grezzo mentre quelli utilizzati per foderare le pietre calcaree della muratura venivano levigati prima della posa. Il cumulo oggi visibile non sarebbe dunque il risultato di un crollo bensì la testimonianza di un cantiere incompiuto.

«NON CI SONO PROVE archeologiche o storiche sulla posizione iniziale di questi elementi lapidei – sottolinea Hanna –. Qualsiasi tentativo di rifinirli e inglobarli nell’attuale intelaiatura della piramide rappresenterebbe una palese interferenza con la maestria degli antichi egizi e pregiudicherebbe l’integrità e l’autenticità del monumento». Inoltre, le indagini effettuate a partire dagli anni ’90 del secolo scorso da Shawqi Nakhla e Abdel H. Nour El-Din hanno appurato che Ramesse II reimpiegò alcuni blocchi della piramide di Micerino per ricavarne statue e rilievi architettonici. Altri massi furono asportati sia alla fine del XII secolo d.C. per costruire edifici nel centro storico del Cairo che nel XIX secolo per la creazione dell’arsenale di Alessandria d’Egitto.
Le ricerche di Ali Hassan, poi, hanno riportato alla luce sul lato occidentale della piramide le rampe in mattoni di fango utilizzate per erigerla. Oltre a minacciare la conservazione di tali significative tracce, il progetto di «rivestimento», che disattende i principi della Carta di Venezia sul restauro, rischia di mettere a repentaglio la sicurezza del monumento. Non è certo, infatti, che le nude pietre in calcare della muratura a conci sottoposte per migliaia di anni al processo di erosione possano ora sostenere il peso di uno strato di granito.

I DUBBI RIGUARDANO anche il partenariato con l’equipe del Sol Levante, la quale non ha mai svolto restauri nel pianoro di Giza (patrimonio dell’umanità dal 1979, come l’intera necropoli di Memphis di cui fa parte). Gli studiosi giapponesi si sono occupati finora solo delle cosiddette barche solari – che, in quanto simboli del transito del sole nel cielo, venivano sepolte ritualmente nei pressi delle piramidi alla morte del faraone –, supervisionando il trasferimento della straordinaria imbarcazione di Cheope (rinvenuta nel 1954, all’interno di un ambiente sigillato, scomposta in 1224 pezzi) al Grand Egyptian Museum di prossima apertura, nonché il restauro della seconda barca del sovrano.
L’insieme di queste circostanze lascerebbe pensare che il vero motivo per la rimozione dei blocchi ai piedi della costruzione di Micerino sia la ricerca delle barche solari del re, sebbene sia risaputo che il figlio Shepseskaf non terminò il monumento funerario del padre né interrò le imbarcazioni sacre. «I siti archeologici non sono proprietà esclusiva del Consiglio supremo delle antichità, del Ministero del turismo e delle antichità o delle missioni straniere – conclude Hanna –. La comunità tutta, attraverso il dialogo sociale e scientifico, ha il diritto di conoscere ciò che sta accadendo al patrimonio egiziano».

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