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Libano, pioggia e neve sulle baracche dei rifugiati dimenticati

Libano, pioggia e neve sulle baracche dei rifugiati dimenticatiIl campo di rifugiati siriani 020, nella Valle della Bekaa tra Libano e Siria – Sonia Grieco

Reportage Dopo otto anni, sono ancora un milione i siriani in Libano. Ma il paese che ha accolto più di tutti, ora non li vuole più. Devastate le tende sorte vicino a campi e fabbriche: è qui che si sfrutta la disperazione

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 18 gennaio 2019
Sonia GriecoBEKAA (LIBANO)

Nell’arco di due settimane, le tempeste Norma e Miriam hanno spazzato il Libano lasciandosi alle spalle cinque morti e oltre dieci feriti. Piogge torrenziali, raffiche di vento e forti nevicate si sono abbattuti sui campi dove vivono i rifugiati siriani, aggravandone le già precarie condizioni di vita. Molti insediamenti sono stati inondati dall’acqua, le tende divelte dal vento, decine di famiglie sfollate, di nuovo, in centri di accoglienza provvisori.

Sono quasi tutte siriane le vittime del maltempo: mercoledì la Protezione Civile ha recuperato i corpi di due fratelli, una bambina di otto anni e un ragazzo di 21, annegati nel canale Akbiye, a sud. Stessa sorte per una bambina di otto anni, caduta in un corso d’acqua a Minyeh, a nord.

Un bambino di dieci anni è morto martedì, a Naameh: un masso è caduto sulla casa dove abitava con la famiglia. Un’abitazione con il tetto in metallo, vicina alla fabbrica dove lavora parte della famiglia, così come gli insediamenti di tende sono situati tra i terreni agricoli dove i siriani lavorano come braccianti, spesso per pagare l’affitto del terreno dove hanno sistemato le proprie tende. Sono campi informali: Beirut, che non ha mai firmato la Convenzione internazionale sui Rifugiati e ritiene i profughi siriani degli sfollati, non ha voluto campi rifugiati formali nel paese, nel timore che una presenza considerata temporanea si trasformi in permanente.

Questa situazione di vulnerabilità ha reso i siriani manodopera a basso costo nell’agricoltura come in altri settori – fabbriche, edilizia, pulizie – mettendoli in competizione con i libanesi più poveri. Lo sfruttamento sul lavoro coinvolge anche tanti minorenni siriani (70-80%), costretti a lasciare gli studi per aiutare le famiglie impoveritesi dopo anni di permanenza in Libano. È la cosiddetta Lost generation (oltre la metà dei 630mila siriani in età scolare non riceve un’istruzione) che include anche tante ragazze (una su tre) che si sposano quasi bambine per sollevare da un peso famiglie numerose e povere.

L’ultima tempesta, Miriam, ha preso forza mercoledì mettendo a dura prova i rifugiati che vivono nei campi o in strutture non residenziali: circa il 34% dei siriani presenti in Libano sono qui dall’inizio della guerra in Siria, otto anni fa. Sono 951.629 quelli registrati dall’Unhcr, ma si stima che siano oltre un milione (con una popolazione di 4 milioni, il Libano è il paese che accoglie di più in assoluto), anche se c’è stata una significativa diminuzione negli ultimi tre anni.

Il campo di rifugiati siriani 020, nella Valle della Bekaa (Foto: Sonia Grieco)

 

Secondo Reuters, sono circa 50mila i rifugiati tornati in Siria dal Libano, ma resta aperta la questione di quanto questi rientri, sollecitati lo scorso luglio da Damasco e ben visti da una parte della politica libanese, siano volontari e sicuri.

Secondo l’Unhcr, il maltempo ha colpito 70mila rifugiati, di cui quasi 40mila minorenni, in circa 850 campi. La macchina dei soccorsi si è messa in moto, ma per Ahmad, 40 anni, di Hasake, città al confine con l’Iraq, non è cambiato nulla da quando è arrivato in Libano, cinque anni fa. «Anche l’anno scorso abbiamo avuto problemi con il maltempo», racconta mentre mostra i danni alla sua tenda nel campo 006 vicino a Joub Jannine, città nella zona occidentale della Valle della Bekaa, che ospita circa 540 persone, di cui 300 bambini.

Martedì il maltempo ha dato una tregua e c’era trambusto nei campi di Joub Jannine. Nel campo 020, a ridosso del fiume Litani, vivono 300 siriani, tra cui oltre 150 bambini. Quando il sole è spuntato dopo giorni di pioggia, gli uomini si sono messi al lavoro per rinforzare le tende, mentre le donne lavavano tappeti, coperte, vestiti, stoviglie e tutto ciò che era rimasto a mollo nell’acqua e nel fango nei giorni della tempesta.

Hiba è arrivata in Libano da Aleppo sei anni fa e vive con una ventina di familiari, tra cui diversi bambini, in un’ampia tenda nel centro del campo. «Stavamo dormendo quando l’acqua ha invaso la tenda, cadeva giù dal soffitto e si infiltrava da sotto – racconta – Siamo stati due giorni in un rifugio provvisorio. Adesso ci servono nuovi materassi e coperte, e ghiaia per coprire le strade. I bambini sono sporchi di fango e si sono ammalati».

Najah, di Raqqa, ha trascorso la notte seduta su una sedia. Vive nel campo 006 da quasi cinque anni con il marito, la figlia e la sorella che ha quattro bambini. «L’acqua ha sfondato il tetto della tenda e non abbiamo avuto altra scelta che sistemare le sedie nel punto meno bagnato e trascorrere la notte seduti», dice stringendo tra le mani la tessera Unhcr, con cui può ricevere qualche aiuto.

Aiuti che rischiano di diminuire costantemente: lo scorso maggio l’Onu ha registrato un «gap critico» nelle donazioni per i rifugiati siriani nel 2018: è stato raccolto solo il 18-22% dei fondi necessari.

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