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Pinuccio Sciola, il giardino sonoro

Pinuccio Sciola, il giardino sonoro

Luoghi I suoni arcaici delle «pietre», strumenti d'artista

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 26 ottobre 2024

A venti chilometri dal capoluogo sardo, c’è un rigoglioso agrumeto, da tempo trasformato in luogo stupefacente, un posto dove le pietre sussurrano, una meraviglia assoluta, una tappa imperdibile delle escursioni nell’isola. Una raccolta di lastre, sassi e rocce prese un po’ dovunque in giro per il Giudicato d’Arborea e per l’Italia, materiali da costruzione o da decorazione lavorati con ingegnosità. Siamo nel comune agricolo di San Sperate, una comunità dallo spiccato senso artistico, col Giardino Sonoro di Pinuccio Sciola, artista di fama mondiale, inizialmente un laborioso scalpellino, un genio autodidatta poi uno scultore e un visionario estremo con un rapporto diretto e sincero con la Natura, fossero uomini, piante o massi.

Questo ampio spazio verde rivela l’origine familiare contadina di un paese museo a cielo aperto, con le opere d’arte di Sciola e i tanti murales dipinti dai numerosi artisti invitati nel tempo perché la casa-laboratorio del maestro ospitava di continuo musicisti, pittori, artisti, visitatori.
Oggi Sciola è tornato alla terra nel 2016, sepolto a poche centinaia di metri dal suo hortus conclusus di straordinaria spiritualità perché quei macigni non sono oggetti inanimati ma custodiscono la memoria della nostra terra e posseggono una voce interiore, da far uscire con sapienti manipolazioni. I suoi tre figli – Tomaso, Maria e Chiara – gestiscono la Fondazione che cura le visite quotidiane su appuntamento e ogni anno organizza un festival d’arte a San Sperate e racconta le esperienze strabilianti del padre, curioso giramondo fortemente colpito dall’energia creativa del periodo passato a Parigi nel maggio ’68 e invitato dall’Unesco nel 1973 a Città del Messico per conoscere e collaborare con uno dei padri fondatori del muralismo messicano, David Alfaro Siqueiros. Ha poi fondato nel 1984 un centro internazionale per la lavorazione della pietra, per avvicinare le giovani generazioni a questo prezioso artigianato.

Eccoci così in «un luogo d’arte, dove basalto e calcare producono suggestivi suoni arcaici, ancestrali e mistici; dove i semi di pietra sono seminati affinché la cultura fecondi la natura; dove i graniti, nel buio della notte, svelano attraverso la luce radente nuove superfici tridimensionali» come è scritto nel cartello all’ingresso. Dappertutto lastre di pietra infisse verticalmente nel terreno, con iscrizioni, intagli o decorazioni, elaborate con quadrettature, scanalature, linee essenziali (ad esempio «Omaggio a Piet Mondrian», l’artista olandese noto per le sue tele con figure geometriche, Sciola ne riproduce una tela grazie a incisioni nette sulla pietra). Sono più di 700 i pezzi raccolti, ogni tanto richiesti in vendita inutilmente da turisti facoltosi.

Un passo importante fu capire come agire sulla pietra, con tagli verticali e orizzontali abbastanza profondi perché altrimenti l’aria non può circolare e non si creerebbero le oscillazioni sonore. Accarezzare il blocco di pietra fa scattare le vibrazioni interne, la memoria contenuta in quella lastra, il mistero contenuto nella crosta durissima. Praticando delle fenditure sulla pietra, in particolare sul basalto e sul calcare, e accarezzandole amorevolmente o sfregandole energicamente, passandoci un oggetto o una piccola pietra, queste emettono fantastiche sonorità. Le Pietre Sonore vengono suonate per la prima volta dal percussionista Pierre Favre al Festival Time in Jazz di Berchidda, in Sardegna, nel 1996. Ma Sciola ha frequentato jazzisti (una sua opera, Jazz Stone, una superficie di basalto grezzo con incisioni di lunghezze differenti) come Cecil Taylor e Don Cherry, poeti come Gregory Corso e Peppino Marotto, semplici hippie e backpackers di tutto il mondo, accogliendoli a piedi scalzi nel suo amato appezzamento di terreno, dove svettano punte grigie, selci colossali, steli come oggetti votivi, basato sul rapporto inscindibile tra arte e natura.

Collezionava massi d’ogni forma e struttura, animato da una passione inesauribile. Generalmente la pietra è stata pensata principalmente in termini percussivi, con colpi scanditi. Invece, avvicinandosi a un bianchissimo blocco di granito lavorato con segmenti sottili a formare una scaletta, grattandolo con dolcezza si ricavano le oscillazioni classiche di un’arpa o una roccia colossale con righe sottili e lamelle che ricorda il cupo suono di una conchiglia marina oppure i «Semi», dove la pietra sembra quasi «schiudersi in un germoglio», blocchi incisi verticalmente, lastre con inserti dentro, un rimando all’origine del mondo. E poi ci sono la «Vela», un omaggio al mare di Sardegna, tre blocchi di roccia accostati di un luminoso bianco accecante, e la «Pietra Elastica» in grado di vibrare con una forza davvero emozionante. Il maestro ha spesso lavorato di fiamma ossidrica per intagliare e modificare questi menhir. Come in una metamorfica aiuola, facendo dei buchi in alcuni ciottoli attaccati dalle muffe col trapano e poi piantandoci dentro dei verdi ramoscelli, li innaffiava regolarmente e adesso quelle composizioni di materiale solido e vita vegetale s’innestano perfettamente tra oleandri, mimose e gardenie.

Naturalmente non tutti questi aggregati minerali, solidificati nei processi geologici, producono rumori aspri o dolci, gorgoglii subliminali e sibili ritmici. Con la sua instancabile ricerca l’artista multiforme (si è misurato anche con la pittura e le performance) ha svelato la voce inesorabile della Madre Terra. «Il calcare ha un suono liquido, è acqua fossilizzata e la memoria è rimasta impressa dentro la pietra – diceva Sciola in un’intervista – Il basalto, di origine vulcanica, è fuoco, trasmette il suono della terra. Io sono semplicemente entrato nella pietra. Ascoltandola sentivo che al suo interno c’era un grande brusìo sonoro. Suoni che escono quando passi le mani sopra». Nel 2002 l’architetto superstar Renzo Piano decise di far collocare un grande basalto sonoro, simbolo di una musica eterna, nel giardino davanti il nuovo Auditorium della Musica a Roma, una collaborazione prestigiosa che sancì la bravura dell’artista. Un altro amico prediletto fu il jazzista Sun Ra che si sdraiava sulla poltrona con il suo mantello di raso giallo. Per attirare la luce del sole e quella energia cosmica che rimandava alle persone con i musicisti dell’Arkestra. Il volatile spazio infinito e la concreta materia lapidea, una vertiginosa ricerca di senso, tra l’aspirazione alla magìa delle stelle e «la spina dorsale del mondo» (come gli Inca definivano la pietra).

«Le mie sculture per ora sono qui, nei luoghi in cui le ho piantate perché mettessero radici e tornassero a vivere. Un giorno che non conosco, spero tornino all’Universo che le ha generate». Pinuccio Sciola è stato un autentico figlio della Sardegna, con la sua cultura megalitica, dal nuraghe alle torri d’avvistamento. Dentro quelle pietre sovrapposte si conserva l’anima antica di quei luoghi, la loro essenza interiore di oggetti preistorici e modernissimi, capaci di parlarci ancora a distanza di millenni.

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