Pigafetta, etnografia del cronista vicentino
A Vicenza, Gallerie d’Italia Il manoscritto L103 della «Relazione» di Antonio Pigafetta, mappe, rari atlanti e «testimoni» da Brasile, Patagonia, Filippine... La mostra per i cinquecento anni della prima circumnavigazione
A Vicenza, Gallerie d’Italia Il manoscritto L103 della «Relazione» di Antonio Pigafetta, mappe, rari atlanti e «testimoni» da Brasile, Patagonia, Filippine... La mostra per i cinquecento anni della prima circumnavigazione
Cinquecento anni fa si concludeva la prima circumnavigazione del globo. Le celebrazioni di questo evento si stanno moltiplicando in tutto il mondo, diffondendosi anche tramite eventi pop come la miniserie spagnola Sin Limites. Per gli appassionati c’è però modo di approfondire il tema anche grazie a una mostra scientifica: fino all’8 gennaio 2023 alle Gallerie d’Italia di Vicenza, Palazzo Leone Montanari, è aperta la mostra-dossier Pigafetta e la prima navigazione attorno al mondo. «Non si farà mai più tal viaggio», realizzata per celebrare l’impresa di cui fu cronista il vicentino Antonio Pigafetta. Visitarla consente di ripercorrere una delle fasi più avvincenti della storia umana, quella delle scoperte geografiche alle soglie dell’età moderna.
All’entrata i visitatori sono accolti da un’enorme mappa su cui sono riportate tutte le rotte che le diverse spedizioni portoghesi e spagnole percorsero a partire dalla metà del XV secolo fuori dal Mediterraneo; al susseguirsi dei decenni, le esplorazioni si diressero sempre più verso il centro e sud Africa, fino a quando, come è noto, Cristoforo Colombo nel 1492 tentò la via dell’attraversamento dell’Oceano Atlantico per raggiungere le Indie da Occidente. Due anni dopo, nel 1494, con il Trattato di Tordesillas, Spagna e Portogallo si spartirono il mondo tramite la Raya, una linea immaginaria passante per l’Oceano Atlantico. Alla Spagna spettarono le rotte occidentali, al Portogallo quelle verso Oriente. L’obiettivo per entrambe le potenze marine era raggiungere le isole delle spezie, le Molucche, nell’odierna Indonesia, e ricavare enormi ricchezze dal loro commercio e dalla distribuzione europea. Se i portoghesi andavano esplorando le coste africane e l’Oceano Indiano, gli Spagnoli cercavano in America un passaggio che consentisse di raggiungere il Borneo da Ovest.
Nel 1519 il portoghese Fernando Magellano propose al suo re di finanziare una spedizione che si spingesse fino all’estremo sud dell’America, alla ricerca di un varco. Il re rifiutò e allora Magellano si rivolse al giovane imperatore Carlo V, che concesse all’esploratore cinque navi. La spedizione non partiva sotto i migliori auspici poiché grande era la diffidenza dei capitani spagnoli verso il comandante portoghese. Il viaggio durò tre anni. Disavventure, naufragi, ammutinamenti, battaglie, epidemie a mano a mano decimarono la flotta: il visitatore può seguire in un video la rotta seguita da Magellano e il progressivo assottigliarsi del numero dei vascelli e dei marinai a bordo, fino al rientro a Siviglia l’8 settembre 1522. Al viaggio sopravvisse un’unica nave, con diciannove marinai a bordo. Lo stesso Magellano era perito nella famosa battaglia di Matan nelle Filippine e l’impresa venne condotta a termine dal capitano spagnolo Elcano.
Di questa vicenda ignoreremmo però molti dettagli se non fosse per la fedele cronaca – dalle ambizioni anche letterarie – che Pigafetta, imbarcato sulla Santa Antonio con Ferdinando Magellano, scrisse durante il viaggio.
Curatore della mostra insieme a Valeria Cafà (conservatrice del Museo Correr di Venezia) è il filologo Andrea Canova, cui si deve l’edizione critica della Relazione del primo viaggio intorno al mondo di Pigafetta (Antenore 1999). Forse non tutti sanno che della cronaca sopravvivono solo quattro manoscritti, di cui l’unico in lingua italiana è il ms L103 sup che si conserva alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. Quest’ultimo troneggia al centro della seconda stanza dell’esposizione, ed emoziona vederlo aperto su quella che è la prima e semplificata mappa disegnata a mano della Patagonia, e dello stretto che proprio dal portoghese Magellano avrebbe preso il nome. Il visitatore scopre che molti dei nomi geografici che ancora utilizziamo furono «battesimi» di quella spedizione, come l’appellativo di Pacifico assegnato al nuovo oceano, o Terra del Fuoco.
Pigafetta si era imbarcato con l’ambizione di descrivere gli usi, i costumi e il linguaggio dei nuovi popoli, ed era molto meno interessato agli aspetti della pura navigazione. Ecco perché attorno al codice in mostra si segue per tappe la scoperta del nuovo mondo e delle popolazioni indigene via via incontrate, utilizzando le parole e le impressioni etnografiche del cronista cinquecentesco.
Del Brasile Pigafetta narra l’incontro con le tribù tupinamba «che si vestono di abiti di piume di pappagallo con grandi ruote al culo fatte con le penne di maggiori dimensioni (cosa ridicola)». In mostra, dal MUDEC di Milano, è arrivato un diadema occipitale a ruota in piume: peccato che non sia stato possibile ottenere in prestito il prezioso mantello tupinamba proveniente dalla collezione Settala, anch’esso conservato in Ambrosiana, un rarissimo reperto del XVI secolo davvero eccezionale, da poco restaurato grazie a Intesa San Paolo. Il percorso prosegue con un mantello in pelo di guanaco che richiama la tappa in Patagonia, un idolo ligneo e alcuni gioielli d’oro rappresentano le Filippine, mentre l’Indonesia è evocata tramite sacchi di noce moscata e chiodi di garofano che inebriano lo spettatore e giocano la carta della multisensorialità.
Innegabile è la forte vocazione didattica della mostra, resa ancor più evidente dai pannelli e dalla scelta grafica, arricchita anche da tredici mappe e atlanti preziosissimi quanto rari: si tratta di esemplari del XV secolo e dei primi decenni del successivo, molti dei quali provenienti dalla Biblioteca Bertoliana di Vicenza, che ci consentono di seguire in presa diretta il costante aggiornamento della cartografia man mano che prosegue l’esplorazione del pianeta.
Si parte con il mappamondo di Giovanni Leardo del 1448 e la Geografia di Tolomeo che illustra solo il mondo allora conosciuto – costituito da Europa, Asia e parte dell’Africa; si continua con la relazione di Amerigo Vespucci del 1507, il planisferio in forma ovale di Battista Agnese con il percorso della circumnavigazione del globo risalente al 1550 circa (che è anche una delle prime testimonianze della illustrazione completa delle terre emerse), per concludere con il Theatrum del fiammingo Abramo Ortelio, risalente al 1592 e considerato uno dei primi atlanti moderni.
La mappa più straordinaria e preziosa è però la Carta Nautica delle Indie e delle Molucche di Nuno Garcia de Toreno, proveniente dalla Biblioteca Reale di Torino, datata 1522, coeva quindi al ritorno della spedizione, vera e propria eco propagandistica della circumnavigazione appena conclusa. Ci si augura che parte dell’allestimento possa essere reso permanente, data l’utilità per il pubblico scolastico. Rimarrà comunque come una pietra miliare l’ottimo catalogo scientifico che, oltre alla schedatura delle opere affidate a etnografi specialisti, contiene tre saggi: uno di Andrea Canova, che inquadra storia e conseguenze della prima circumnavigazione; uno di Valeria Cafà, che fa il punto sull’epilogo della vicenda e narra come si diffuse la notizia del viaggio intorno al mondo (si scopre tra l’altro che la cronaca di Pigafetta non venne mai pubblicata, nonostante il vicentino avesse stretto un accordo con un editore veneziano, cosicché si diffuse una versione spagnola, meno precisa); chiude un interessante saggio di David Salomoni, autore di un volume sul viaggio di Magellano, che racconta i mutamenti della geografia e cartografia prima e dopo la circumnavigazione.
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