Piga: «Soldi Ue del Pnrr con troppe condizioni, l’austerità è già tornata»
Intervista all'Economista di Tor Vergata L'autore del libro "Interregno" (Hoepli): a Bruxelles comandano ancora i neoliberisti, gli Usa invece puntano sulla piena occupazione. Draghi aveva parlato di «debito buono» ma ora ha accettato di ridurre il Deficit dal 12 al 4% in un anno: si tratta di 120 miliardi di tagli, buona parte del Recovery fund
Intervista all'Economista di Tor Vergata L'autore del libro "Interregno" (Hoepli): a Bruxelles comandano ancora i neoliberisti, gli Usa invece puntano sulla piena occupazione. Draghi aveva parlato di «debito buono» ma ora ha accettato di ridurre il Deficit dal 12 al 4% in un anno: si tratta di 120 miliardi di tagli, buona parte del Recovery fund
Professor Gustavo Piga, docente di Economia a Roma Tor Vergata, sul suo ultimo libro «Interregno» (Hoepli) lei cita Gramsci per invocare investimenti pubblici per salvare l’Europa dalla doppia crisi 2008-Covid. Il Recovery Fund e il Pnrr sono in linea con la sua proposta?
Purtroppo più si delinea il Pnrr e più mi convinco che non ci porterà fuori dalla crisi e anzi potrebbe crearci ulteriori problemi. Il motivo è presto detto: ci sono troppe condizionalità imposte dall’Europa. Due esempi ce lo rivelano già: la riforma della giustizia che abbiamo fatto in fretta per ottenere la prima tranche di finanziamenti non darà certezze alle imprese che investono in Italia – il suo obiettivo primario – perché, come dimostra il fallimento del concorso di Brunetta, le assunzioni solo a tempo determinato previste non invogliano i professionisti necessari a creare il livello di personale che serve a dare certezza del giudizio in tempi celeri. La seconda è la condizionalità maggiore che l’Europa ci chiede: “Ti diamo i soldi solo se prometti di ridurre il rapporto deficit Pil dall’attuale 12 al 3% in un solo anno: significa 120 miliardi di nuove entrate o minori spese, buona parte della cifra dell’intero Pnrr. Una totale pazzia che riporterà l’austerità. L’Italia sarà l’ultimo paese europeo a tornare ai livelli pre Covid, già bassi: la Spagna ci supererà di 3 punti di Pil.
Lei nel libro paragona l’Europa agli Stati Uniti. Lì le cose vanno molto diversamente.
Assolutamente. Biden ha deciso una espansione senza condizioni riassunta dalla sua espressione: «Pagateli di più» che chiede di alzare i salari alla classe lavoratrice, la più colpita dal Covid e dall’aumento delle diseguaglianze. Il piano di Biden è fin troppo keynesiamo e punta alla piena occupazione, obiettivo che in Europa non c’è, in nessun paese.
Dunque lei sostiene che l’austerità che il Covid ci ha fatto abbandonare tornerà dalla finestra? Rimarremo nell’interregno?
Ci siamo terribilmente dentro, l’austerità è già tornata, sia nel piano della commissione Ue sia nel Def del nostro governo. Sapendo benissimo ormai che l’austerità fa aumentare il debito pubblico, non diminuirlo perché abbassa la crescita.
Draghi nel suo intervento sul Financial Times sul «debito buono» sembrava aver svoltato. Ora continua a sostenere che il Fiscal compact non ci sarà più.
Draghi per la sua forza e la sua universalmente riconosciuta capacità avrebbe potuto dire all’Europa: «Invece che tornare al 3% di deficit, mi fermo al 6% e il restante 3% lo utilizzo in investimenti pubblici assicurandovi che la spesa sarà fatta bene». Purtroppo anche lui si è dovuto piegare.
Perché? L’egemonia liberista in Europa è ancora imperante?
Le condizionalità imposte all’Italia lo dimostrano. Il neo liberismo è ancora alla base del modello europeo. Solo la politica può cambiare un modello che dovrebbe consentire a ogni paese autonomia fiscale responsabile finché non ci sarà una vera politica fiscale unica europea a Bruxelles. L’egemonia liberista è poi molto attenta a far sì che non si super i una soglia di intervento pubblico in economia.
Anche da questo punto di vista i primi esempi in Italia non sono positivi: l’ex Alitalia Ita è partita col modello Marchionne, all’ex Ilva si sono persi anni inseguendo Arcelor Mittal; Mps rischia di essere regalata a Unicredit. Problema di linea politica o di scelta dei manager presi dal settore privato?
Su Ita mi sembra che l’elefante ha partorito un topolino che rischia di essere schiacciato in fretta. Mps sarebbbe l’esempio perfetto di «banca del territorio» e regalarla a Unicredit che si prenderà il meglio lasciando ai contribuenti il resto è senza senso. Ma anche questo ci è imposto dalla commissione europea.
Tornando agli Stati Uniti, è di ieri la notizia che la Fed inizierà a ridurre gli stimoli per paura dell’inflazione. Qualcuno inizia a preoccuparsi anche di qua dall’Atlantico.
Mi viene da ridere. Io ho conosciuto l’inflazione al 20%. La Bce da decenni non riesce a mantenere l’obiettivo del 2%, finendo sempre sotto. Preoccuparsi per un po’ di inflazione dovuta in gran parte alle storture nella catena di forniture dovute al Covid è risibile. Sarei ancora più contento se l’inflazione fosse dovuta all’aumento dei salari, ma questo purtroppo non è.
Lei chiude il suo libro con una nota di ottimismo parlando dei suoi studenti. Sono loro a darle fiducia nel futuro?
Ho fiducia nei nostri giovani che sono stupendamente appassionati, dinamici, innovativi e curiosi. Sono una Ferrari che deve però fare i conti con noi anziani che stiamo dando loro un’autostrada piena di buche e poca benzina. Anche per questo dovremmo investire realmente e coprire di soldi e contratti a tempo indeterminato gli ingegneri, gli specialisti di informatica, gli economisti che serviranno per gestire il Pnnr. Un cambio nella gestione degli appalti è la madre di tutte le riforme.
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