Pietro Ruffo è meticoloso e dice di darsi orari precisi, di sentirsi un «impiegato dell’arte». E non può che essere un pianificatore quando si pensa alla vastità di molti suoi lavori la cui la visione – macro o micro – non perde mai di intensità e anzi continua a espandersi in un approfondimento e ribaltamento continuo di concetti come quelli di confine, territorio, oppressione e aggressività, religione, etnie e libertà, in una visione geopolitica del mondo così dolorosamente attuale.

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Il suo viso serio, quello stesso che si riflette nei confessionali della chiesa del Volto di Gesù alla Magliana ma che ricorda molto l’imperturbabile volto di Cristo ostinato e indifferente sul fondo di uno degli ultimi spettacoli della Societas Raffaello Sanzio, si illumina quando, ridendo, ripensa alla faccia della merciaia di San Lorenzo all’acquisto dell’ennesima scatola di spilli (oggetto sinequanon dell’opera di Pietro). Gli spilli che servono, all’artista-entomologo, per fissare insetti-parassiti all’interno di bacheche settecentesche contenenti bandiere, ritratti di filosofi, paesaggi e scritte che sembrano sempre sul punto di sgretolarsi. Sono infiniti i coleotteri che scarnificano le preghiere in ebraico stampate sulla carta dalla quale loro, gli scarafaggi intagliati, emergono e sono tante, tantissime le libellule che Ruffo ritaglia, solleva, ferma col gesto pulito e essenziale dell’architetto.

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Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione Ermanno Casoli (intitolata al fondatore dell’azienda marchigiana Elica), ha pensato a queste sue caratteristiche quando – per una delle tante tappe di «E – Straordinario», progetto formativo rivolto alle aziende che da anni la Fondazione svolge con successo, si è messo alla ricerca di un artista che potesse rispondere alle esigenze del Gruppo Angelini. L’azienda aveva deciso di cimentarsi in un’ardua impresa: un workshop artistico con 60 dipendenti fra dirigenti e quadri all’interno di un progetto nel quale, usando l’arte contemporanea come metafora, si ambiva a rinnovare i rapporti fra le persone facendo confluire obiettivi individuali in qualcosa di comunitario.

Nasce così The Wishful Map, da questa sorta di coworking nei grandi spazi del Lanificio Luciani a Roma: alla fase di progettazione, in cui una grande mappa del mondo era stata proiettata su un icosaedro poi scomposto in venti triangoli equilateri, è seguito un processo per cui su ogni triangolo – che è poi anche quello rappresentato sul logo dell’Angelini – hanno lavorato piccoli gruppi di tre persone, le stesse che, ragionando su trenta parole/concetti chiave dell’azienda (fra queste per esempio metodo, sintesi, eticità, dialogo e responsabilità) avevano scelto per quei concetti degli abbinamenti cromatici. Il trasferimento dei colori sugli spicchi di mondo insieme ai ritratti a matita che ciascuno aveva fatto al proprio compagno di lavoro sono confluiti nell’intervento dell’artista che ha portato a compimento l’opera intagliando e sollevando, con spilli, le sottili fasce acquerellate.

Per Marcello Smarrelli, curatore del progetto, la scelta era caduta proprio su Ruffo «…per la sua straordinaria capacità di lavorare in gruppo e per la cura meticolosa in ogni fase della progettazione..». E quando si vede Pietro chino sul tavolo da lavoro occupato da quadri e dirigenti di Angelini che disegnano, progettano intagliano e colorano torna in mente Boetti che, insieme ai bambini, colorava le famose «Faccine». Suggerisce i colori oppure forse non li suggerisce, comunque guida impercettibilmente, come uno sciamano, con delicatezza e intensità quel gruppo di essere umani che si è prestato a lavorare con lui. Un po’ anche come i figli dei dipendenti di Elica che, guidati da Mario Airò (sempre nell’ambito di «E – Straordinario»), incidono in fogli di carta bagnata il loro bestiario immaginario.