Roma, 3 febbraio 1960, ore 4 del mattino. Bruno Ferretti sta salendo sul suo camion Lancia Esa Tau. Ha 23 anni, è dipendente di una ditta che si occupa del trasporto di materiale edilizio per la grande rinascita romana. Ha caricato il tufo la sera prima facendo tardi per guadagnare in tempo e denaro.

Roma, 3 febbraio 1960, ore 4 del mattino. Fred Buscagione sta salutando gli amici orchestrali e Hanna Rasmussen, una starlette poi sparita dai registri di Cinecittà, davanti al Terminal dell’Alitalia dopo una spaghettata. Fred sale su una Ford Thunderbird rosa targata TO 288788.

Roma, lo stesso 3 febbraio. Ore 4 e 32 del mattino. All’incrocio tra viale Rossini e via Paisiello una Thunderbird rosa è incastrata sotto un Esa Tau. L’autista dell’auto ha la testa fracassala dall’urto contro il palo proprio sull’angolo, davanti alla residenza dell’ambasciatore americano. Attorno ai rottami il carabiniere di guardia all’ambasciata, un dipendente Rai di passaggio e un autista di un bus che tornava in deposito. Nelle tasche dell’uomo tra i rottami, il suo documento di identità e una tessera, intestata al direttore d’orchestra Fernando Buscaglione nato a Torino il 23 novembre 1921 e abitante nella stessa città in via Bava Bis. E 8000 lire.
Ferdinando Buscaglione, Fred per il mondo canzonettario, Nando per gli amici, era da due anni ingrassato e famoso per le sue canzonette: «criminal song» scritte in coppia con il paroliere Leo Chiasso in cui gangster e pupe si confondevano tra pugni e notti alcoliche. Cronaca nera formato 45 giri. Primo posto nella hit parade del 1957 con Che bambola!, secondo posto nel 1958 con Whisky facile, terzo nel Guarda che luna.
1959 con Aveva una moglie Nando, bella, molto bella: Fatima Bern Ambarek, figlia del Marocco e della Germania, ottima contorsionista. Con il padre e la sorella Aisha formava il trio Ben Robins. Forse l’aveva rapita. Di sicuro lei, Fatima si era dovuta fare tre mesi di catechismo, e tre giorni di ritiro in un convento di Torino. Era musulmana e splendente nei suoi vestiti a fiori di seta.

Nando era partito da lontano, da Torino, 658 kilometri di differenza spirituale. Secoli forse di differenza spettacolare. Aveva iniziato facendo il commesso da Caudano, ferramenta all’ingrosso, in una Torino che di chiodi negli anni trenta doveva proprio avere bisogno. I suoi amici della massoneria jazz a Torino abitavano bei palazzi di Corso Vittorio. Lui veniva dalle rive del Po, quelle povere. Renato Germonio, padre del jazz subalpino, gli procura un contrabasso. Questi goliardi della massoneria jazz andavano all’università e si impipapavano del divieto di suonare la musica plutotalasso eccetera. Ci facevano anche le Street Band nella grigia Torino, con le facce dipinte di nero per rendere più credibili i suoni, e si beccavano le bacchettate dei fasci. Suonavano nei loro caveau il giass (jazz, piemontesizzato, west mountain) con palo che all’arrivo della ronda faceva un fischio. Così loro potevano continuare a ridere.

Nando era figlio dell’operetta e della tinta da muri. Sua madre insegnante di canto, era ai fornelli per permettere al marito di fare l’imbianchino con comodo. Pennelli e il verbo di Puccini. Il lavoro puro, quello che porta a casa i quattrini, deve aver indotto Nando a scegliere di suonare al dehor dell’Hotel Ligure, quello davanti alla stazione Porta Nuova. In quel dehor Leo Chiosso dice di aver conosciuto Nando. Leo andava al liceo, Fred aveva smesso il conservatorio, e se non rendeva l’accompagnamento al caffè lo aspettavano le case degli altri da pitturare. Leo, figlio della grassa provincia fattrice di monsignori e tenutari agricoli, poteva spartire con quel segolino soltanto musica. Infatti si fermava davanti al dehor e chiedeva Digadigado, e il Nando per fargli piacere, suonava,
Poi Nando suonava al Columbia. Adesso il Columbia è nella casbah di Torino, quella spesso vergognosamente frequentata da Pronto Polizia. Allora era un gran bel locale in una gran bella zona. Oppure suonava nelle Veglie Verdi. Nando doveva essere uno che si divertiva un mondo e faceva divertire. Anita Ekberg sul set della reclame della birra Peroni, il Carosello più citato per citare gli anni cinquanta, spaccò tutto con il portacenere che un famoso Avvocato le mandò come benservito. Non voleva più uscire dal camerino. Arriva Nando, alto abbastanza nello spirito da potersi permettere un piemontese affatto razzista sui set più monolingue del mondo. La chiama: «Neta, Neta sort a fora». Lei equivoca e apre la porta. Per un’ora lui parla piemontese, lei svedese. Anita esce, ride, e «la tua bionda io sarò». L’avvocato è sistemato.

Bella favola. In fondo oggi che resta di Nando? Il suo nome che farà cinema (c’è da tremare alla sola idea) sotto le spoglie registiche di Luca Barbareschi. Restano gli onesti lavoratori degli Asternovas, il suo gruppo. Che ti raccontano di quando Nando era prigioniero – per modo di dire – in Sardegna. «Buscaglione (pronunciato Buscagglione) and his lovely violins», poi Quintetto Aster. Divertiva gli inglesi e voleva a modo suo festeggiare l’8 settembre, legando la sua orchestra alla Quinta armata. Brigò tanto che finì in galera, per essersi spacciato per quello che non era.

Finita la guerra, a Torino trovano un altro nome: Asternovas, ben scritto sulla grancassa della batteria. Un gruppo senza leader perché erano tutti musicisti democratici. Nando, nelle bellissime foto che restano, è tra gli altri, neanche troppo imponente con un piccolo violino in mano. Nando li chiamava nel suo dialetto, prima che fosse slang della malavita: ‘I merlus; se lo infilava sotto il mento ben saldo quando andava vicino a vertiginosi decoltè per tirare su sorrisi e carta moneta, benzina per lo stomaco. I tempi erano poi cambiati, ma la morte di Nando ha chiuso il flusso di quattrini.

Altro, che resta? Resta Fatima, la moglie di Nando, schizzata in quel di Corio Canavese in una baita onesta e confortevole ma a debita distanza dal resto degli umani. Fatima Buscaglione donna incredibile, con il suo amore liquido come il liquido della moneta e il liquido delle lacrime dei suoi occhi. Alle quattro del mattino di un autunno montano, alle mie pretese di sapere che succede all’amore quando arriva il successo, lei Fatima mi guarda negli occhi, e a denti stretti fa uscire: «Succede quanto arriva il successo che succede, che succede quando succede che è successo che arriva il successo…», e così fino a gelare tutti i presenti. Fatima ci faceva notare che non c’era telecamera in grado di riprendere i ricordi dal profondo della mente.

Bella favola anche quella del cinema. 11 film con il nome di Fred Buscaglione tra il cast. 11 film in tre anni, dalla metà degli 1958 all’inizio del 1960. Risi, Petroni, Mattoli, Fulci i registi. Dieci film con fugaci apparizioni. L’unico film con Nando protagonista fu l’undicesimo, Noi duri regia di Camillo Matrsocinque, («Masterfive» lo chiamava Nando sul set), che uscito nel 1960 incassò 361 milioni. La dolce vita del marzo ’60 un mese dopo la morte di Nando (un’altra bella favola) incassò 2 miliardi e trecento milioni. «Masterfive» era l’uomo giusto: si era portato dietro per Noi duri anche Totò. Il film è bellissimo, Nando un vero attore.

Altro? Sì, le canzoni, la musica. «Teresa lascia andare quel fucile». Qualche cosa di definitivo sui risvolti psicologici nei rapporto fra giovani donne e giovani uomini. «Porfirio Villarosa che faceva il manovale alla Viscosa» Torino operaia? ma non scherziamo, Torino tangata del dopolavoro e basta. Parole gasate più una musica gasata, spinti all’inverosimile per follia incontrollata. Gradi alcolici. «Whisky facile» l’unico pentimento che adoro. Cantata con i bambini del coro dell’Antoniano per renderlo più credibile. Che tempi quei tempi!
Dicono fosse originale e diverso da tutti gli altri che osavano cantare in quegli anni.

Piero Balla, con il regista Diego Zane, ha realizzato uno special su Fred Buscaglione per «Mixer». Mai andato in onda.