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Piero Portaluppi, l’architetto elettrico, Milano e ironia

Piero Portaluppi, l’architetto elettrico, Milano e ironiaPalazzo della Società Buonarroti-Carpaccio -Giotto, Milano, corso Venezia, 1926-’30 – Ciro Frank Schiappa

Fra secessione e razionalismo Per Skira, «Piero Portaluppi», a cura di Piero Maranghi. Uno stile su misura, con guizzi e corto-circuiti, tra alte influenze di scuola (Gaetano Moretti, Hoffmann) e nobili modelli del passato

Pubblicato circa un anno faEdizione del 16 luglio 2023

Il modo di pensare di Piero Portaluppi – la sua «idea» – procede per accostamenti e sorprese: elementi imprevedibili producono uno scatto, un corto-circuito mentale che comporta cambiamenti di prospettiva, altera l’ordine che ci si aspetta dando rilievo a dettagli che fulmineamente diventano fuochi visivi. Tale procedimento compositivo informa il «disegno» di Portaluppi dall’inizio alla fine. Al principio si tratta proprio di disegno: quando studia al Politecnico di Milano, tra 1905 e 1910, è caricaturista per giornali satirici – e per piacere personale – fino a che avvia la carriera universitaria e in parallelo quella professionale di architetto.

Nel primo articolo che descrive la sua poetica di progettista, nella rivista «L’Architettura Italiana» dell’agosto 1926, Armando Melis ne sintetizza i caratteri rimarcando «… la mensola posta alla rovescia, il timpano che raggiunge il triangolo equilatero e assume un’espressione impensata, la combinazione circolare innestata nel campo rettangolare, la pagoda cinese sopra un bugnato di pietra concia».

La «pagoda» fa parte della centrale idroelettrica di Crevola appena entrata in funzione: una struttura a torre, colorata con vivacità, dalla funzione essenzialmente decorativa, estetica, che ci dice subito il gusto (e l’ironia) di Portaluppi nel sovrapporre un Oriente rivisitato e Borromini. Riferimento – quest’ultimo – sottolineato da Paolo Portoghesi nell’introduzione al volume Piero Portaluppi (Skira, pp. 400, 350 illustrazioni, euro 90,00), curato da Piero Maranghi e magnificamente illustrato da fotografie di Ciro Frank Schiappa. Due grandi e lucidi isolatori elettrici in porcellana verde decorano l’ingresso della centrale, in sintonia con quella nuova estetica della macchina che proprio nel 1925 s’impone all’Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi. Gli isolatori-capitelli poggiano su porzioni di colonne scanalate: ma la citazione dell’antico si combina con una libertà compositiva che interpreta il tema elettrico animando la complessiva severità formale con dettagli guizzanti, zigzaganti, sfaccettature e ornamenti appuntiti.

Può essere fuorviante parlare di eclettismo, termine adatto alla cattiva architettura, a un’architettura senza stile. Si direbbe piuttosto la proiezione d’un immaginario che si è costruito uno stile su misura, tra alte influenze di scuola, quella dell’architetto Gaetano Moretti in primis, poi dell’austriaco Josef Hoffmann, e dirette esperienze visive di nobili modelli del passato, il cui giovanile esito è nel 1914 la sua prima pubblicazione, dedicata all’architettura del Rinascimento nell’ex ducato di Milano.

Negli anni di formazione, il modo di Portaluppi d’immaginare l’architettura si è nutrito, ovviamente, anche di modelli internazionali d’impronta Jugendstil o Art Nouveau conosciuti a cominciare dai viaggi a Parigi e nella Mitteleuropa già prima della Grande Guerra e in riviste e giornali, di cui rimane memoria in una quantità di ritagli – anche d’inserzioni e immagini pubblicitarie – raccolti in album. Le fonti sono la rivista mensile del Touring Club Italiano, l’inglese «The Studio», il mensile viennese di architettura e arti decorative «Der Architekt», senza contare altre pubblicazioni austro-tedesche e francesi di eccellente qualità grafica, accomunate da un filo spiritosamente dissacrante tra secessionismo e modernismo. Al mondo dei giornali illustrati per bambini e ragazzi Portaluppi deve non poche suggestioni per la sua adolescenziale pratica della caricatura: scrivendo di lui come di un architetto, Melis non manca d’osservare che «si occupa di caricature» e che il suo stile ha «segno tagliente e garbo dinoccolato», tanto da ricordare «le figurine di Yambo». La questione della caricatura è di certo laterale nella storia di Portaluppi, ma non diminutiva: non si dimentichi che Lyonel Feininger ha cominciato come caricaturista e fumettista – con un segno non troppo distante dal suo – prima di diventare un maestro del Bauhaus e uno dei Quattro azzurri (con Kandinsky, Klee e Jawlensky); che Nadar ha disegnato illuminanti caricature dell’arte del suo tempo all’inizio d’una carriera che ne ha fatto il massimo fotografo del secondo Ottocento; che nell’opera grafica di Saul Steinberg, a sua volta architetto, la caricatura raggiunge una qualità grafica assoluta nel cogliere il senso di città e vita contemporanee.

Come i vedutisti del passato ricorrevano a figurette utili a introdurre l’osservatore alle bellezze naturali messe in scena, così Portaluppi inserisce i suoi personaggi un po’ fumettistici – stupiti, ammirati, oppure al lavoro come davanti all’impianto di Trecate – nei disegni d’architetture. Un modo di prendere le distanze esibendo il progetto con ironico understatement.

Nel 1924 Portaluppi pubblica fuori commercio, per i tipi della casa editrice d’arte Bestetti & Tumminelli e con le fotografie di Antonio Paoletti, il volume Aedilitia 1, che raccoglie la sua opera sino allora. Tra progetti in alzato e in pianta, restauri, ville, villette e palazzi, stabilimenti industriali e sedi e sale consiliari d’importanti società – il tutto tra neosettecento e modernismo – dominano gli impianti idroelettrici per il massimo committente del settore, Ettore Conti. Li caratterizza inizialmente l’idea del castello fortificato, con un pizzico di stile «alpino», che nella ricordata centrale di Crevola si scioglie nella propensione al ribaltamento di ordini e aspettative. Certi interni, con la lucentezza geometrico-ingegneristica delle macchine in colloquio con scenografiche finezze decorative, corrispondono alla fantascientifica immaginazione messa in campo da Fritz Lang nel film del 1927 Metropolis.

Gli impianti idroelettrici sono una tipologia architettonica nuova che offre ampie possibilità d’invenzione, dopo realizzazioni già di gran qualità – come quella di Moretti a Trezzo d’Adda, 1906 – e le visionarie esercitazioni grafiche del futurista Antonio Sant’Elia. D’altra parte, quella elettrica è l’energia della modernità proiettata nel futuro d’una civiltà che si muove al ritmo della macchina: il frammento di traliccio che Paoletti fotografa davanti all’impianto di Valdo è come quello che Umberto Boccioni dipinge nel paesaggio futurista del 1912 Elasticità.

La modernità può anche essere un incubo. L’utopia razionalista incombe e una figura interessante ma trascurata dell’arte milanese fra le due guerre, il «refrattario» Giandante X, la evoca nelle forme di un’architettura «comunista» di falansteri attraverso i modelli che presenta nel 1925 alla Biennale internazionale delle arti decorative di Monza. La questione delle abitazioni, del prossimo Existenzminimum dei razionalisti tedeschi – un minimo di qualità esistenziale e abitativa per tutti – è d’attualità e Portaluppi l’affronta secondo un punto di vista lontano dal razionalismo, incline com’è a metter le cose sottosopra. Disegna Allabanuel che è il luogo d’un immaginario insediamento di futuristici palazzi tutti uguali in una società massificata; ma il nome letto al contrario diventa, nel parlato milanese, «L’è una balla», è una stupidata. S.K.N.E. è il motto d’uno spettacolare progetto di grattacielo a New York, con vertiginosi balconi sugli spigoli fino ai piani più alti. Leggendo lettera per lettera, il rebus del motto si risolve in «scappane».

L’architettura che piace a Portaluppi iventa un tratto stilistico ben riconoscibile della forma di Milano negli anni che seguono – è invece improntata all’Existenzmaximum, benché qualcosa anche lui conceda al razionalismo quando progetta con i neolaureati del gruppo BBPR (Banfi, Belgioioso, Peressutti, Rogers) una Villa del sabato per gli sposi per la V Triennale milanese del 1933. A un’estremità la decora una (perduta) scultura in ceramica di Lucio Fontana con le figure rosa e nera di una donna e un uomo: gli sposi, appunto.

Quella razionalista è una parentesi nella vicenda che lo vede al centro del rinnovamento architettonico milanese in chiave moderatamente modernista, tra progetti residenziali e prestigiosi interventi a cominciare dal Planetario ai Giardini pubblici (1929-30), la nuova sede della Banca Commerciale Italiana (1928-32), l’ampliamento del palazzo della Rinascente (1928-29), i prolungati lavori a Santa Maria delle Grazie e via dicendo. È l’architetto dell’alta borghesia milanese, inventore di una soluzione costruttiva – l’arcone di Porta Venezia – che «senza trionfi», con «superficie interna attraversata da un brivido di elettricità», osserva ancora Portoghesi, lascia la sua spettacolare impronta sulla Milano tra le due guerre, un po’ come la Torre Velasca degli allievi BBPR negli anni della ricostruzione.

Portaluppi rappresenta una parte significativa ed esemplare, nella sua eleganza, dell’architettura milanese tra le due guerre. Portoghesi ne delinea lo stile rimarcandone gli angoli smussati; il profilo mistilineo che combina curve, rette e spigoli; il motivo del labirinto. L’altra parte appartiene alla linea retta: per una committenza diversa, anche pubblica, la applicano i giovani razionalisti – Figini, Pollini, Baldessari, i Mazzocchi, Albini, Camus, Palanti… – in stabilimenti industriali e case popolari.

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