Piero Meogrossi, le indagini di un archeo-tetto
Si intitola Europa sotto i monti Asterousia (Timia ed, pp.95, euro 22) l’ultimo libro di Piero Meogrossi, architetto con solide basi archeologiche. Messa da parte nel 1980 la professione libera ha operato nella Soprintendenza Monumenti di Venezia e poi in quella archeologica di Roma fino al 2011 come direttore tecnico responsabile di progettazioni e restauri sul Palatino, al Colosseo, lungo l’Appia antica per riaprire il museo di Cecilia Metella e la Villa dei Quintili. Tanti lavori sempre poco conosciuti ma non quanto la sua «scoperta», aver valutato le posizioni topografiche essenziali correlate alla Roma fondata il 21 aprile del 753 a.C., direttrici che imitando le rotte dei pianeti allineati in cielo tra Luna e Sole, hanno fissato la geografia del Lazio. Questo rimanda a conoscenze che predatano l’avvento dell’Agricoltura (ca. 10.500 a.C.), a rapporti simbiotici e non parassitari con la Terra, inserita in un cosmo vivente. Sulla copertina del libro c’è una immagine stilizzata di Roma percorsa dal Tevere, ma all’interno la protagonista è Europa, principessa fenicia rapita da Zeus e portata a Creta, chiave di volta di una storia ancora in divenire.
Come nasce questo libro?
Nasce da Creta, perché Creta è il luogo dove sono andato a ritrovare le origini di Roma. Ci andai nel 1987 per la prima volta. Ci capitai per sbaglio, mentre provavo ad isolarmi dal troppo rumore delle città, essendoci anche allora parecchia confusione ad Heraklion. Fin da ragazzo avevo visitato le aree archeologiche cercando di interpretare i ruderi per dare dimensione al disegno di Roma, una passione maturata successivamente quando, entrato a collaborare come architetto restauratore con gli archeologi nel Colosseo, sull’Appia, sul Palatino, tra i Fori, aggiunsi alle mie letture, appunti e disegni il confronto con i documenti dell’accademia. Da architetto volevo meglio riflettere sul mondo positivista degli archeologi e penetrare i misteri di Roma. Forse sono l’unico architetto che fin da ragazzo si è letto l’Enciclopedia dell’Arte Antica, ne conosco vita morte e miracoli, tanto che la Treccani ancora mi telefona per vendermi i prodotti. Quei preziosi 7 volumi me li regalò mio padre quando avevo 15 anni, mi portava ai Fori, sul tempio doppio di Venere e Roma, davanti al Colosseo, e ricordo con nostalgia le passeggiate al tramonto con la mamma per cogliere cicoria alle tombe Latine, nel quartiere Appio dove abitavamo dopo essere venuti a Roma da Torrita di Siena, mia terra natale.
Architetto e/o archeologo…
Mi piace essere definito archeo-tetto, il che presuppone che, dopo aver vinto il concorso al Ministero per praticare sul campo dell’archeologia il ruolo di architetto abilitato al restauro dei monumenti, un po’ mi faceva sentire orgoglioso della storia degli architetti che avevano avuto a che fare col paesaggio romano (Pirro Lagorio, Alberti, Nolli, Piranesi). Come loro mi prefiguravo, grazie al mio sentire e vedere, di riuscire in qualche modo a rileggere l’identità topografica e architettonica nascosta sopra la Forma Urbis Romae. All’inizio soppesavo con i miei disegni l’archeologia del periodo dal 1870 al 1905, quando Lanciani apriva la topografia alla tutela dell’archeologia. Dopo anni quelle verità si erano trasformate, lo scavo stratigrafico e le tecniche di indagine si erano evolute, ma in sintesi estrema restava imperativo il bisogno di restituire all’architettura urbana storia e visione identitaria di Roma, ragioni profonde per sottendere le trasformazioni di questa piccola grande Roma Caput Mundi.
In fondo la formazione di un architetto, a mio avviso specie quella di un restauratore del paesaggio archeologico, è essenziale che sappia relazionare lo spazio delle componenti naturalistiche al tempo della storia condizionato dalle trasformazioni diverse in ogni epoca. Diseducati a riflettere sulle ombre non le sappiamo più leggere sul terreno e così ci dimentichiamo dei segni di natura fissati sulle cose materiali e su quelle invisibili all’apparenza. E non bastano le triangolazioni di un cellulare per vedere l’ora…per capire il mondo antico disperso che però fa parte ancora della nostra storia mediterranea.
Questo non è il tuo primo libro……
Il problema oggi sta nella possibilità o meno di riuscire a trasmettere notizie utili, narrazioni per un auditorio disposto a confrontarsi con la storia ufficiale, che spesso viene celata per varie ragioni e non si vuole tramandare se non dopo 50 anni. Pur avendo provato a pubblicare articoli e saggi illustrati, le mie conversazioni aperte in genere hanno stimolato confronti per affidarsi ai quali pero’ occorrono anzitutto molti disegni e poco testo. Solo le parole ormai non accendono più la mente e ora più che mai urge ricomporre visioni per trovare le riflessioni più chiare, non giuste, sulle cose del mondo antico, per quello contemporaneo presente e magari per quello futuribile. L’ultimo nostro viaggio, pur privilegiando il racconto strategico di Roma, ha scelto di andar dietro allo «sguardo di Europa», di ricomporre la visione strategica che educandomi a vedere il paesaggio di Creta mi permette di rileggere la storia del territorio di Roma e soprattutto apre la mente a perseguire shakesperianamente il sogno neo antico.
Arthur Evans, nel restauro di Cnosso, viene spesso accusato di aver lavorato di fantasia…
L’esperienza di quel modello di restauro in parte fantasioso scaturiva come conseguenza delle scoperte archeologiche di Schliemann, lo scopritore di Troia e delle regge e delle tombe a Micene. Un lavoro ambizioso e poco scientifico. Il fascino dei luoghi esotici, tipico approccio di un mondo colonialista ottocentesco, aveva subito affascinato il giovane Evans quando, a Londra, ebbe modo di conoscere e ammirare Schliemann in persona, che nel frattempo era riuscito a far accreditare dalla comunità europea il mestiere dell’archeologo avventuroso che raccoglie materiali prestigiosi grazie a scavi senza alcun spessore stratigrafico. Evans era ben consapevole, dopo i racconti di Schliemann, di dover fare i conti con il fior fiore dei miti, come quello di Ulisse, per penetrare un mondo matriarcale soppiantato da quello patriarcale, una storia che ci è stata trasmessa in modi troppo semplicistici.
In quel mondo erano ancora centrali caratteri sciamanici e iniziatici…
Soprattutto nel mondo matriarcale, quello delle Grandi Madri, non propriamente in quello dei padri micenei che, nel soppiantare la cultura minoico cretese, avrebbero quasi omesso il riconoscimento e la coesistenza della dimensione doppia della realtà che caratterizza ogni forma di sciamanesimo. Stiamo provando a riannodare i fili a rete di una storia complessa che presuppone la rilettura dei miti, per esempio quello di Ulisse. Quanti conoscono i figli di Ulisse? Si conosce Telemaco, ma pochi sanno di Telegono. È praticamente sconosciuto, eppure è il figlio che ha avuto da Circe, mentre Telemaco è quello che ha avuto da Penelope. Poi cosa succede? Non è che nell’Odissea ti viene raccontato tutto. Ci sono altri scrittori e si scopre che Ulisse fu ucciso per sbaglio da Telegono che finirà per sposare Penelope, mentre Telemaco sposerà Circe. Stiamo parlando di influssi sciamanici, della lettura di miti come quello della bella Europa rapita da Zeus sotto forma di un toro bianco. Chi è Europa? È la principessa fenicia sorella di Cadmo che porta a Creta la lineare A, la scrittura poi trasformata in lineare B dai micenei, gli «emigranti guerrieri» destinati a trasportare in lungo e in largo sui mari i racconti della Grande Madre.
La genìa c’entra molto con le migrazioni e all’apparenza niente con quello che oggi leggiamo come pianificazione dei territori, niente a che fare con quell’urbanistica che controlla e sfrutta il paesaggio in termini unicamente produttivi. Ecco allora che Elon Musk, attraverso i satelliti allineati dalla sua impresa Star Link, come una divinità antica sorvola Roma dopo 2775 anni per stimolare chi vorrebbe visitarla a distanza grazie al 5G, che guarda dall’alto anche tra la monnezza, quella monnezza misteriosa come materia sciamanica da cui deriva la grande bellezza che caratterizza questa città. Ma la bellezza ha la valenza della distanza, è la visione dell’aura di Benjamin che ti inizia e ti consente di rapportarti ai bisogni dell’umanità come accadeva nel mondo sciamanico di una Roma integrata. Chi arriva qui da ogni parte del mondo non se la scorda, viene catturato dal suo disegno, magia sciamanica esportata anche per fare il nuovo mondo dell’America, per il Campidoglio a Washington…
Per gli antichi c’erano Dioniso e Apollo. Due modalità del pensare umano con cui convivere. Apollo rappresentava il logos, la ragione, Dioniso la passione, i sentimenti, le pulsioni. Tutto ciò che riguarda gli oggetti fisici gli uomini sapevano come trasformarlo in bellezza sciamanica, in opere letterarie, in racconti mirabili come appunto le Metamorfosi di Ovidio.
Oggi però l’attimo fuggente della visione capitalistica, che rende tutto produttivo, produce disastri per la mente e il territorio, separati, un tempo unitariamente intesi. Così Kairos, l’attimo fuggente, oggi appartiene esclusivamente all’ordine obsoleto del turbo-capitalismo. Poi si celebrava Kronos, il tempo che scorre e rende condivisibili le scelte umane. Ed infine c’era Aion il tempo eterno. Kairos, l’attimo fuggente, purtroppo appartiene alla dimensione turbo-capitalista. Il tempo di Kronos non riesce più a scorrere linearmente e a dialogare con lo spazio materiale reso immateriale. Per ultimo Aion, il tempo eterno, relegato ai margini dell’universo anche dalla fisica, ribadisce alla società il bisogno estremo di tenere chiari i rapporti con la mutazione costante delle cose, di saper interpretare ancora una volta il destino e la morte…
Usi spesso nel libro il termine salutistico…
Ha molto a che fare con lo sciamanesimo, con l’archeologia, con la scienza moderna, con la salvaguardia del sistema ecologico, con la salute degli esseri umani, con l’archeotettura. Vedi quella pallina attaccata al muro in mezzo a quei due quadri? Quello è un sistema salutistico concepito in antico per esercitare il controllo e la misurazione delle onde elettromagnetiche che attraversano lo spazio, correnti energetiche naturali che vengono dal sole. La terra gira, il sole si distribuisce secondo regole precise, a quadrati, a rettangoli, si chiamano reti di Hartmann. Quella pallina non è altro che uno degli accorgimenti utilizzati dagli antichi, dagli egizi per esempio. In tante raffigurazioni gli egiziani tengono in mano una specie di cerchietto con una croce, l’ankh. Quello è un misuratore dell’energia naturale simile alla bacchetta di Lecher, un fisico del primo 900 seguito dal maestro Walter Kunnen che mi aveva insegnato a gestire le misure sensibili della bio architettura. Se vogliamo misurare gli equilibri del mondo attraverso le antenne del nostro corpo, fatto di acqua all’80%, dobbiamo attivare le corna come quelle messe in testa al profeta Mosè da Michelangelo. Dobbiamo allora poter misurare con lo strumento sensibile del rabdomante scientifico, le frequenze che ruotano attorno a tutti gli umani e non solo loro. Un fenomeno naturale che è riproducibile da chiunque. Gli antichi ne erano consapevoli. Noi abbiamo dimenticato tutto questo.
Il tuo libro gira intorno a Lentas…
È vero, il mondo per me gira intorno a Lentas! Lentas è quasi più importante del Colosseo per capire i valori geografici e culturali del mondo antico da cui proveniamo, se vogliamo comprendere le ragioni del viaggio di Europa per battere la longitudine zero dell’Egeo e poi quella di Greenwich, se vogliamo perseguire i miti antichi della rigenerazione come quello di Asklepio, trasformazioni da sciamani che davano senso alle esplorazioni come quella degli Argonauti in cerca del «vello d’oro». Europa, sbarcata in quel punto di Creta in groppa a Zeus travestito da Toro, ha segnato su quel promontorio del Leone il racconto che ho potuto rileggere tra i 45 pittogrammi impressi sul famoso disco doppio di Festòs.
In quel disco c’è il codice per capire il rapporto fra mente e territorio, salute e energia, equilibrio di ciò che definisco Archeotettura, disciplina che cura i rapporti di costruzione tra l’umano e la natura.
Capo Leon è in allineamento geografico rispetto al tempio di Ammon in Egitto con il tempio del Sole, l’Asklepeion a Lentas, col palazzo minoico di Knossos, con l’isola di Santorini e quella di Delos sacra ad Apollo. La Longitudine zero per le navigazioni tra E-O e S-N che asseconda la rotta naturale delle migrazioni degli uccelli che dall’Africa salgono su fino alla Finlandia rimanda altresì alle correnti dell’Egeo fissate su Lentas, punto d’approdo strategico per tutte le navi che venivano o andavano dall’Europa in Africa. Lebena, il nome romano di Lentas, dopo essere stato santuario di Asklepio per molti secoli era stato l’ultimo porto di Roma prima di approdare in Egitto.
Sotto il cielo di Creta i cicli della Luna e del Sole, i solstizi come gli equinozi, avrebbero educato a rifondare una città per il nuovo mondo dei commerci nel Tirreno. La nuova sponda si chiamerà Roma, la forza, rumi in greco antico, il fiume, rumon in etrusco. Io sostengo che il nome di Roma viene da quella crasi essendo la polis del popolo etrusco fondata assieme ai micenei arrivati con Europa nella seconda metà dell’VIII secolo ( 770 a.C.) a Pithicusa, tra Ischia e Procida. Quei navigatori portavano il ricordo di Icaro e Dedalo fuggiti da Creta depositando nel tempio di Cuma le ali di Icaro per tramandare la storia di Creta.
Perché in Vaticano c’è la sala delle mappe? Perché il controllo delle mappe è potere. Roma fu fondata usando le conoscenze apprese tra i monti di Creta e le leggi astronomiche rivisitate in occasione delle corse dei carri nelle Olimpiadi. Nel 776 a.C. la prima Olimpiade, misurate e aggiornate le posizioni dei pianeti, avrebbe definito il bisogno di ricomporre lo spazio tempo calendariale, dai 10 mesi ai 12 all’anno, regole primitive del mondo miceneo a sua volta arrivate dall’Egitto, da Creta, dalla Mesopotamia. Io arrivai per sbaglio a Lentas, scappando da Iraklion che era peggio del centro storico di Roma oggi. Era maggio 1987, il mio compleanno, quando un autobus superata l’ultima curva tra le montagne degli Asterousia cretesi si affacciò sul mare Liviko e mi apparve dall’alto il Leone, il Capo Leon di cui mi innamorai subito, folgorato da quel viaggio di ricerca sul mondo antico, che mi apriva alle dimensioni della società matriarcale, quella della doppia ascia minoica, che non era per ammazzare il toro, era per misurare territori.
Chi conosci a Lentas?
Quelli del posto, circa 700 anime, mi conoscono tutti, mi hanno omaggiato con regali simbolici e un coltello iniziatico, con la festa in piazza, bevute e danze assieme ad amici come Kostas Manidakis o filosofi come Serge Latouche. Sopra quei tappeti fatti a mano sono state organizzate mostre e spettacoli per raccontare La tempesta a Lentas. Io che facevo la parte di Prospero ero finalmente divenuto lo sciamano sapiente di Shakespeare a Creta.
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