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Piero Bevilacqua, dieci storie di lotta e di anarchia

Piero Bevilacqua, dieci storie di lotta e di anarchia

Intervista Consegnare alle generazioni che verranno una memoria delle vicende calabresi che hanno come protagonisti persone umili e per questo private della possibilità di raccontare la loro verità: è la ragione per cui lo storico e presidente dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali ha coordinato una ricerca i cui frutti sono ora raccolti nel libro «Storie di lotta e di anarchia», da Donzelli

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 23 ottobre 2021

È in libreria Storie di lotta e di anarchia in Calabria (Donzelli, euro 20) curato da Piero Bevilacqua, presidente dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali, e frutto della collaborazione di un gruppo di studiosi con lo scopo di far luce su alcuni fatti tragici successi in quella regione dal 1903 al 1972 in modo da consegnare alle generazioni che verranno una memoria delle vicende che hanno come protagonisti persone umili e per questo private della possibilità di raccontare la loro verità.

Bevilacqua, nel libro si raccontano dieci storie in gran parte ignote al grande pubblico. Perché questa scelta?
Alcune, poche per la verità, sono rimaste nella memoria collettiva degli italiani anche per molto tempo, come ad esempio l’eccidio di contadini a Melissa nel 1949. Ma anche su questo episodio le nuove generazioni non sanno nulla. Sono ignote al grande pubblico perché in alcuni casi sono rimaste confinate nella cronaca regionale, ma anche perché sono rimaste fatti isolati, incidenti, che non hanno mai composto una narrazione unitaria, un filo rosso che ha contraddistinto una lunga pagina di storia meridionale.

Si legge di lotte per la terra nel secondo dopoguerra, quando il grande scontento bracciantile del Mezzogiorno d’Italia s’incontra col movimento sindacale e social comunista. Cosa ne esce?
In Calabria, precisamente nel Crotonese, esisteva la più grande concentrazione latifondistica d’Italia. Lì si sono svolte alcune delle lotte più epiche di tutto il dopoguerra, dapprima spontanee, poi organizzate dal sindacato unitario e soprattutto dal Partito Comunista Italiano. Il risultato è la riforma agraria del 1950 e soprattutto un processo di democratizzazione di parte della società calabrese, la formazione di un gruppo dirigente del PCI di primissimo ordine. Uno di loro, per esempio, Gennaro Miceli fu vice di Pietro Ingrao quando questi era presidente della Camera.

La vicenda drammatica della brigata Catanzaro cosa sta a ricordare?
Il comportamento ottuso e criminale durante la Grande Guerra del generale Cadorna, ideatore delle decimazioni: la scelta casuale di dieci soldati da fucilare tra quelli considerati disertori. I due casi della Brigata Catanzaro narrati sono particolarmente odiosi perché si trattava di soldati già premiati per la loro condotta in precedenti battaglie, alcuni con medaglia d’oro. Secondo gli ordini di Cadorna venivano dichiarati disertori anche i soldati che, di fronte al rischio della vita, perché in una situazione di sovrastante inferiorità di fronte al nemico, cercavano di salvarsi. Per non essere dichiarati disertori dovevano morire con le armi in pugno.

Uno sguardo particolare va riservato alla storia di Giuseppe Zangara che attentò alla vita del Presidente del New Deal americano Franklin Delano Roosevelt…
Una strana figura di anarchico che voleva farsi giustizia da solo uccidendo, secondo una rozza esemplificazione, quello che lui considerava il capo del capitalismo mondiale, per l’appunto il presidente degli Stati Uniti. Bisogna tenere presente il clima di allora, il razzismo americano furoreggiava anche contro gli europei immigrati, specie se di pelle scura, come siciliani e calabresi.

C’è spazio anche per una vicenda oscura e tragica, che ha trovato poche testimonianze e mai una verità, come la morte di cinque giovani anarchici, tra i 18 e i 22 anni, avvenuta nel settembre del 1970…

Una delle tante vicende sanguinose del secondo ’900 in cui molto probabilmente ebbero un ruolo i servizi segreti deviati, ma su cui non si è ancora fatta luce. Come per i moti di Reggio la destra eversiva lavorava per rovesciare gli equilibri politici creati dalle lotte studentesche e operaie.

Una storia di donne calabresi?
Tra le vicende narrate c’è la figura di Giuditta Levato, una giovane contadina, scesa in lotta insieme ai suoi compagni, uccisa con una fucilata al ventre senza alcun motivo, come un tempo usavano con facilità polizia e carabinieri.

Il libro si chiude con la cantautrice e cantastorie Francesca Prestìa che ha messo in versi e musica quasi tutti gli avvenimenti trattati nel libro. Com’è venuta questa idea?
L’idea del libro è proprio di Francesca, una voce ormai nota anche fuori Calabria. Lei ha anche scritto quasi tutti i testi e le musiche per i diversi episodi, tranne che per gli attentati ai treni del sindacato. Per quell’episodio canta l’impareggiabile ballata di Giovanna Marini.

La Calabria di oggi come sta nella storia del nostro Paese?
I miti neoliberistici e la frantumazione del ceto politico, incapace di contrastare una potente criminalità, mantengono la Calabria in uno stato di disorientamento e marginalità, nonostante le energi

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