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Pierfrancesco Rizzello, per non avere paura del vento

Pierfrancesco Rizzello, per non avere paura del ventoDa «Senza paura» (prodotto da MAD - Memorie audiovisive della Daunia)

Sport/Intervista Luciano Toriello ha seguito per dieci anni, per realizzare il film documentario «Senza paura», il piccolo Pier nei suoi allenamenti e nei suoi viaggi, nelle sue vittorie e sconfitte restituendo un ritratto di formazione in cui emerge l'evoluzione personale e sportiva del giovane campione

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Solcare il mare con una tavola da surf e lasciarsi guidare dal vento catturati da un aquilone fino a librarsi e volteggiare nell’aria, è la grande passione di Pierfrancesco Rizzello che a undici anni ha conquistato il titolo di campione del mondo di kitesurf under quattordici. La sua passione nasce nel mare di Jericoacoara in Brasile, dove insieme al padre Massimo si allena fin dalla tenera età di cinque anni per superare le proprie paure e i propri limiti in uno sport che non è da tutti, in cui bisogna essere sempre consapevoli del mare e della forza dei venti. Questa eccezionale passione è stata raccontata dal regista Luciano Toriello che ha seguito per dieci anni, nel film documentario Senza paura, il giovane Pier nei suoi allenamenti e nei suoi viaggi, nelle sue vittorie e sconfitte restituendo un viaggio di formazione in cui emerge la straordinaria evoluzione personale e sportiva del giovane campione.

Come hai conosciuto Pierfrancesco e la sua famiglia?
Nell’inverno del 2012 con Pino Maiorano, coautore di questo film, siamo andati in Amazzonia per girare Colibrì, «documentario che ritrae le tribù indigene delle aree dell’Amapà nell’estremo nord del Brasile. In attesa dei permessi per entrare nei villaggi protetti delle tribù, Pino mi propose di andare a Jericoacoara a casa del papà di Pierfrancesco, Massimo che viveva in Brasile già da 8 anni. Frequentando questa famiglia notai che Pierfrancesco viveva la sua quotidianità in maniera libera, continuamente in acqua a giocare; era completamente diverso da un bambino europeo. Questa libertà mi affascinava molto, così facemmo un’intervista e quando notai il grande potenziale espressivo di Pierfrancesco decisi di continuare queste interviste tornando in Brasile ogni anno, per vedere come cresce un bambino in questo contesto; ma quando abbiamo iniziato non avevo idea che il lavoro sarebbe durato dieci anni.

Come si è confrontato Pierfrancesco con la telecamera e con questo lungo progetto?
In quei giorni avevo molto tempo libero, iniziai a vivere la sua quotidianità e questo mi ha permesso di essere parte della famiglia, in più Pier è un bambino molto espansivo ed tutt’ora amico di mio figlio. All’inizio non si è accorto della camera, perché lavoravo con una reflex e pensava di essere fotografato, poi lentamente si è accorto di essere ripreso e di fare qualcosa d’importante, ma alla fine era talmente abituato alla mia presenza e a quella della telecamera che non ci pensava più.

Com’è arrivato Pierfrancesco a competere a dieci anni ai campionati mondiale di kit-surf?
Massimo ha una scuola di kit-surf e Pier, fin da quando era piccolo, segue il padre nel lavoro e una volta finite le lezioni di kit il bambino continua a giocare nell’acqua facendo surf. Questo ha permesso a Pier di avere una preparazione muscolare al pari di un ragazzo di quindici anni, ma soprattutto di avere molta forza per reggere la tensione dei cavi del kit, talmente tesi che possono tranciare le dite delle mani. Inoltre ha sviluppato una grande conoscenza dei venti che gli permette di capire il momento giusto per compiere le evoluzioni in aria, Jericoacoara è uno dei posti migliori per questo sport proprio perché i venti sono costanti.

Qual è stato il tuo approccio a un lavoro così lungo? Quali sono state le difficoltà?
Durante tutto il progetto ho cercato di essere meno invadente possibile per cogliere la spontaneità; non c’è mai stata un’imposizione a ripetere o ricostruire delle scene, avevo la possibilità di girare tanto materiale e a volte ho nascosto la telecamera in punti dove sapevo che durante la giornata si sarebbero ripetuti alcuni dialoghi o gli allenamenti di Pier. A me piace, magari a discapito della tecnica, riprendere la verità senza filtri e questo non è possibile se hai sei sette persone che ti girano attorno, finisci inevitabilmente per fingere. Sostanzialmente eravamo io e Pino, poi a volte Massimo ci ha aiutato nell’organizzazione; eravamo una squadra unita. Durante le competizioni, come in Francia e in Spagna, c’erano gli operatori di gara che si univano alle mie telecamere per seguire le azioni di Pierfrancesco in acqua. Ho trovato molte difficoltà da un punto di vista del suono, girare controvento a 40 nodi è stato difficile, il vento è così potente che è difficile mantenere la camera ferma. Per catturare il suono di quei venti, ho cercato dei punti riparati per sistemare l’attrezzatura e riuscire così ad avere un suono pulito da utilizzare nel montaggio.

Una figura importante che emerge all’interno del film è Massimo, il padre di Pierfrancesco.
Nel 2016 è nato mio figlio e dopo due anni ho iniziato sempre di più a discutere con Massimo sull’essere padre, anche perché mio figlio viveva in un contesto europeo mentre Pier in quel contesto sudamericano; ci confrontavano sull’importanza dello sport e di come sia bello essere a contatto con la natura. Pier è molto legato al padre e nel film emerge il rapporto con Massimo che lo sostiene e lo incoraggia nei suoi allenamenti. Anche se i genitori sono separati, il ragazzo va continuamente nella scuola di kitesurf del padre e fa sport insieme a lui. Un altro elemento fondamentale sono i viaggi che i due affrontano e che hanno permesso a Pier di conoscere meglio il mondo, ma soprattutto hanno rafforzato il loro rapporto. All’inizio non avevano pensato di inserire questo rapporto nel film, ma piano piano è cresciuto questo mio interesse perché è un argomento che cominciavo a conoscere bene e lo vivevo sulla mia pelle.

Come hai scelto questo titolo evocativo?
Sono un amante delle fiabe e conosco bene la storia di Giovannino senza paura di Italo Calvino; penso che Pierfrancesco è un po’ come Giovannino un bambino impavido, coraggioso e le uniche paure che ha sono quelle con se stesso, cioè quelle che tutti abbiamo con i nostri limiti. Il titolo è venuto in maniera naturale perché durante il film avevo sentito tante di quelle volte ripetere questo concetto di non avere paura dei propri limiti, in più ogni volta che accompagno mio figlio a fare sport lo sento continuamente in campo; è una frase che si ripete sempre ai ragazzi ed è bello che si confrontino con i propri limiti come Giovannino, quando si specchia ha paura solo di se stesso e deve vincere quella paura.

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