Cultura

Pier Paolo Pasolini e Cesare Zavattini, scritture letterarie a confronto

Pier Paolo Pasolini e Cesare Zavattini, scritture letterarie a confronto

SAGGI «Senso ontologico, mimesis e rappresentazione», di Antonia La Torre per Aracne

Pubblicato più di un anno faEdizione del 16 maggio 2023

Se si pensa ai grandi autori della letteratura italiana del Novecento che hanno utilizzato anche il linguaggio cinematografico come veicolo per esprimere la propria visione del mondo, il pensiero non può che correre a Pier Paolo Pasolini. In lui le figure del poeta, dello scrittore, del regista si confondono e si compongono offrendo sempre prodotti artistici di altissimo livello, in grado di rappresentare il proprio mondo interiore, di criticare lucidamente la società del suo tempo, e non solo, di fustigare, mettendone in luce tutta l’ipocrisia, la morale borghese.

SONO TANTI GLI STUDI e le analisi dedicati ai suoi romanzi, alla sua poesia, ai suoi film, quella che forse non ha ricevuto la stessa attenzione è quella forma di scrittura che lega in qualche maniera il linguaggio cinematografico a quello letterario. Ecco, trattare la sceneggiatura d’autore come una vera e propria forma d’arte può rappresentare una pista vincente nella comprensione dell’opera di un artista.
Applicare, dunque, gli strumenti dell’analisi letteraria a quello che comunque è un testo letterario, può rappresentare una direzione efficace per trovare conferme o fare nuove scoperte dell’universo di un poeta. È proprio questo quello che ha fatto Antonia La Torre nel suo Senso ontologico, mimesis e rappresentazione. Analisi letteraria della scrittura filmica di Pier Paolo Pasolini e Cesare Zavattini (Aracne, pp. 319, euro 20).

Come si vede dal sottotitolo l’analisi si allarga ad un altro grande scrittore del ‘900, Cesare Zavattini. Del resto se si parte dall’idea dell’analisi letteraria delle sceneggiature, il campo non può essere ristretto ai soli scrittori-registi. I testi presi in esame sono quelli relativi ad Accattone e Decameron per Pasolini e Miracolo a Milano e Umberto D. per quanto riguarda Zavattini. Antonia La Torre non si limita ad esaminare gli script definitivi, ma ricostruisce tutte le versioni precedenti, svolgendo anche un lavoro da filologo.

IL DISCORSO inizia dall’analisi della lingua usata, partendo da una suggestione tratta da Il grado zero della scrittura di Roland Barthes: nel momento in cui lo scrittore segue i linguaggi realmente parlati, «come oggetti essenziali che esauriscono tutto il contenuto della società la letteratura comincia a diventare un atto lucido di informazione, come se prima di tutto fosse necessario conoscere, riproducendola, la circostanza della disparità sociale; essa si propone di rendere un conto immediato, preliminare rispetto a qualsiasi altro messaggio, della situazione degli uomini murati nella lingua della loro classe, regione, professione, retaggio o storia».

Oltre ad affrontare gli aspetti più specificamente letterari, dunque, che vanno per esempio in Pasolini dall’uso dei dialetti al continuo richiamo a citazioni dantesche, l’analisi di Antonia La Torre, anche per i testi presi in esame, è in grado di offrire un range ampio della weltanschauung dei due autori. Così, per quanto riguarda Accattone e Decameron emerge da un lato la descrizione realistica e partecipata di una sorta di viaggio all’inferno, di percorso disperato, ma umano, troppo umano, dall’altro l’esaltazione della vita, in tutte le sue sfaccettature, una vitalità però ormai irraggiungibile per il mutamento antropologico innescato dal capitalismo e dal consumismo. E anche nei testi di Zavattini può essere rintracciata da un canto la fiaba, che però cela al suo interno la forza della lotta di classe e dall’altro, con Umberto D., la disperazione, ma anche la voglia di lottare di chi viene lasciato indietro, abbandonato.

L’ANALISI, dunque, acquista anche connotazioni fortemente politiche – e non potrebbe essere altrimenti, per la personalità dei due autori – mettendo in luce le strategie usate dagli autori per veicolare la loro critica dell’esistente, che può assumere i toni della speranza o della disillusione. Da sottolineare, infine, la bella introduzione di Maurizio Braucci dove viene rivendicato con forza tutto il valore poetico della scrittura cinematografica: «La sceneggiatura rimane il punto di partenza di ogni film, la scrittura è il gesto che ne condiziona l’origine, questa è una fase di ricerca poetica e tecnica allo stesso tempo».

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