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Piemonte, in piazza contro l’attacco alla legge 194

Piemonte, in piazza contro l’attacco alla legge 194Manifestazione di «Non una di meno» a Torino – Ansa

Aborto La giunta regionale ci riprova: associazioni pro-life nei consultori pubblici. La proposta, già avanzata da Cota e bocciata dal Tar, è dell’assessore di Fratelli d’Italia

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 18 aprile 2021

In Piemonte succede che, in piena pandemia, la Regione, a guida centrodestra, spalanchi le porte dei consultori pubblici alle associazioni anti-abortiste.

Rispolverando una mossa già tentata dalla maggioranza Cota – il leghista decaduto da governatore nel 2014 per lo scandalo delle firme false – ha, infatti, emanato un bando per attivare convenzioni, nei servizi della tutela materno-infantile, con organizzazioni che nel proprio statuto riportino «la finalità di tutela della vita fin dal concepimento».

UN ATTACCO alla legge 194 che, ieri, a Torino ha portato i movimenti femministi in piazza. Qui, Non una di Meno e Rete + di 194 hanno organizzato due presidi: al mattino in piazza Castello, davanti alla sede della giunta regionale, con gli abiti delle ancelle di Handmaid’s Tale, e al pomeriggio in piazza Carignano. «La presenza esclusiva delle associazioni pro-vita, e quindi contro l’aborto, dentro i consultori – spiegano in una nota – è contraria allo spirito della 194 ed è una chiara espressione di scelte ideologiche, mirate a esercitare una pressione psicologica inaccettabile sulle donne». E ancora: «Conosciamo bene le storie delle donne che sono state costrette a svolgere l’interruzione volontaria di gravidanza a contatto con queste organizzazioni: sono storie di mortificazioni, difficoltà, traumi psicologici. Non possiamo permetterglielo».

LA PROPOSTA PIEMONTESE porta la firma dell’assessore regionale agli Affari legali Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia (subentrato a Roberto Rosso, arrestato per voto di scambio), che ha tacciato la protesta come ideologica e beffardamente ha rilanciato: «Si mettano il cuore in pace, oltre 30 centri di aiuto alla vita hanno partecipato al bando in dieci Asl piemontesi, comprese tutte quelle torinesi, e andremo fino in fondo per garantire a queste associazioni l’apertura degli sportelli di volontariato negli ospedali».

Il tentativo di Cota, per la cronaca, era naufragato di fronte al ricorso al Tar presentato dalla Casa delle donne e Activa Donna.

«La Giunta – sottolinea, ora, Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Uguali Verdi in consiglio regionale – ha recuperato un testo vecchio di dieci anni modificandolo solo parzialmente per aggirare una sentenza del Tar che ha già bocciato queste pratiche. È l’ennesima vergogna che solo dei codardi oscurantisti possono concepire come normale».

IERI, IN TANTE E TANTI sono scesi in piazza con voci e cartelli. Una mobilitazione nata a Torino e che si è estesa ad altre regioni dove si registrano situazioni altrettanto gravi (Marche, Umbria, Abruzzo, Veneto e Friuli). «Il diritto all’autodeterminazione delle donne – dice Elena Petrosino, segretaria Cgil e Rete + di 194 – è sotto attacco in Piemonte, nel resto d’Italia e d’Europa. Questa Regione, con un atto vile, perché amministrativo e non politico, ha aperto un bando per fare entrare nei consultori pubblici le associazioni antiabortiste. Da anni, chiediamo, invece, che la 194 possa dispiegare le sue ali: vogliamo assunzioni nei consultori e formazione. Non c’è bisogno di nessuna associazione».

IN PIAZZA ANCHE Tullia Todros, ginecologa e docente universitaria, da sempre impegnata su questi temi: «L’attacco della giunta Cirio va avanti da mesi e non solo da questo bando, che ha rispolverato quello di dieci anni fa. Lo scorso settembre, quando si dovevano applicare le nuove linee guida emanate dal ministro Speranza sull’aborto farmacologico nei consultori, si era diffusa la circolare, ancora una volta ispirata dall’assessore Marrone, per impedirlo. In questo momento di emergenza sanitaria, la somministrazione della Ru486 nei consultori avrebbe, invece, molto più senso per le donne e per il sistema sanitario. È ideologico non volerlo fare».

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