Piccoli e grandi avvenimenti quotidiani nei taccuini di Beethoven 1818-1827
Su un quadernetto del 1820, Ludwig van Beethoven rovesciava la celebre riflessione di Ippocrate – «Si dice che l’arte è lunga e breve la vita. Ma lunga è la vita e breve l’arte. E se il suo soffio ci eleva fino agli dèi, non è che la grazia di un istante». Il capovolgimento di quell’aforisma, già travisato nel suo significato originario dal pensiero preromantico, sottolinea come la prosaicità della vita quotidiana fosse avvertita quale travagliato e perdurante disordine, rotto solo da pochi momenti di elevazione dello spirito nel corso del processo creativo. Delle traversie di ogni giorno che ci raccontano i preziosi taccuini beethoveniani del decennio 1818-1827, riproposti nella traduzione e con il commento di Sandro Cappelletto – Il testamento di Heiligenstadt e Quaderni di conversazione (Einaudi, pp. 454, € 18,50): non un’integrale delle pagine compilate da Beethoven o da amici e conoscenti per sopperire a quella socialità che l’ipoacusia del compositore impediva, bensì una selezione di passi ricombinati in maniera apparentemente disordinata, ma capace di riprodurre con vivezza il tumulto dei tanti piccoli avvenimenti che si verificano anche nelle esistenze dei grandi artisti attraverso la casualità degli incontri e la necessità di far fronte ai più comuni incidenti domestici.
Leggiamo così dell’acquisto di un nuovo tipo di gabinetto o del malfunzionamento di una stufa appena installata: senza soluzione di continuità gli avvenimenti politici dei travagliati giorni di rivoluzione a Cadice si alternano alle opinioni politiche di Beethoven e di quanti gli erano vicini. In quanto oggetti privatissimi, annota Cappelletto, i Quaderni diventano una fonte documentaristica importante, perché sfuggono alla censura, lasciando per esempio indovinare a volte in Beethoven una disincantata coscienza politica: «Quando il potere è unito, può tutto contro la maggioranza che non lo è». Fra la traduzione fedele di un passo e poi di un altro, .Cappelletto innesta i suoi commenti di tenore didascalico. Nella lunga prefazione al volume ricostruisce con cura le vicissitudini dei quaderni: dalla morte del compositore alle alterne vicende di quelle pagine all’ombra delle ragioni della Guerra Fredda. Segue il racconto della sordità di Beethoven: causa stessa di quei fogli dalle tante calligrafie. Il libro invita alla lettura del Testamento di Heiligenstadt e alla considerazione degli avvenimenti che portarono dalla segretezza assoluta circa la sordità del musicista, la cui immagine venne persino usata quale falso testimonial di cornetti acustici. Nella prefazione Cappelletto anticipa infine molte informazioni riguardo la squallida storia della contesa giudiziaria con la cognata per la tutela del nipote Karl, in cui vengono fuori toni di feroce acrimonia e la vicenda sembra guidata dagli imperativi dell’orgoglio prima ancora che dalla sincera volontà di far del bene al ragazzo.
Vi si intravede un malcelato desiderio di genitorialità, sostenuto da nobili ideali; ma in ultimo i toni scadono e restano gli intrighi orchestrati da personaggi spesso di infimo profilo morale. A Beethoven non mancava, peraltro, la consapevolezza del proprio valore sociale in quanto artista: «Per la mia attività, io non appartengo a quella massa plebea. Il borghese – e a me è accaduto di essere uno di loro – è destinato a rimanere escluso dalle classi superiori della società»: una frase che ci riconsegnerà il volto del musicista, altrimenti nascosto in quei taccuini come in «uno scrigno da cui non si può rubare», annotava un anonimo interlocutore.
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