Piccola guida per non disperdere un sentimento radicale
Pamphlet «Elogio della rabbia» di Salvatore La Porta, per Il Saggiatore
Pamphlet «Elogio della rabbia» di Salvatore La Porta, per Il Saggiatore
La rabbia appartiene alle nostre vite per alcuni versi più dell’amore, di sicuro ne è preesistente e attraversa le nostre giornate con esplosioni improvvise o borbottii continui, è un po’ come contenere dentro se stessi un vulcano in letargo, ma perfettamente attivo. Al tempo stesso, è vissuta come una colpa, una perdita di lucidità di cui vergognarsi.
Tuttavia, la nostra rabbia (e la nostra convivenza con le sue repentine manifestazioni) ha anche i suoi buoni motivi, come sostiene la protagonista del bel film di Pierre Salvadori En liberté! e, alle volte, bisogna pure saper essere indulgenti con se stessi, farla vivere senza pensare troppo alle conseguenze, come per riprendersi lo spazio vitale necessario. Sì, ma qual è il confine che evita di tramutare tutto in una sorta di inferno di grida e urla? Salvatore La Porta con un agile pamphlet colto e ben scritto (Elogio della rabbia, pp. 176, euro 16) elabora una serie di consigli su come provare a inalberarsi di più e anche meglio.
IL LIBRO AIUTA a dare espressione alle motivazioni che scatenano le furie, principalmente affronta il senso di giustizia frustrato, più o meno lecito, che genera l’ira e lo sconforto. Tanto per cominciare bisogna partire da un semplice assunto, ci ricorda l’autore: con la rabbia bisogna e si deve convivere, non ci sono alternative; solo partendo da qui è poi possibile ragionare sulle migliori «modalità» di fare i conti con la collera. Attraverso una serie di citazioni storiche, antropologiche e sociali, La Porta ricostruisce così – in maniera spesso divertente e scanzonata – il rapporto contemporaneo con la rabbia, da dove viene, quali sono i modelli sociali su cui si è impiantata. La distinzione tra rancore e tradimento, fra il dolore di un mancato riconoscimento e la capacità di superarlo senza negarsi lo sfogo, la stizza necessaria.
Ovviamente non si può discettare di rabbia evitando di chiamare in campo l’amore. Anzi è proprio questo sentimento, forse, uno dei motivi principali dell’ira, il suo contraltare. Dove uno viene sconfessato, l’altra esplode. La collera semplifica là dove l’amore complica, spesso unisce, i gruppi di «arrabbiati» sono decisamente più efficaci e capaci nel portare avanti rimostranze e proteste.
CERTAMENTE non mancano i riferimenti ai social, arcinoti centrali del rancore dentro cui la rabbia viene liberata, ma anche luoghi della solitudine in cui quest’ultima assume la forma dell’autoreferenzialità in cui singoli adirati elidono se stessi e la forza della loro emozione dando spazio più alla propria solitudine che alle loro idee, in un circolo vizioso tremendo e, a tratti, anche evidentemente pericoloso.
Elogio della rabbia racconta così la storia di un’epoca vista attraverso la più evidente delle nevrosi testimoniando nell’uso contemporaneo l’incapacità di dare sfogo e spazio a legittime richieste. La più comune è, infatti, una rabbia repressa e ininfluente, oltre che spesso pretestuosa. Ci arrabbiamo troppo perché ci arrabbiamo meno, per certi versi. Incapaci di darci voce, di chiedere conto dei soprusi subiti alimentiamo un chiacchiericcio isterico e individuale.
Ritrovare la rabbia è quindi consigliato soprattutto per provare a ricontattare noi stessi nel profondo e, attraverso noi, gli altri che – come in uno specchio – soffrono della medesima (nostra) solitudine.
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