Un decreto legge approvato sbrigativamente per un’emergenza che era già cessata – quella del rave di Modena – e ormai in vigore anche se, adesso ufficialmente, è un decreto scritto male che va corretto. Lo ha ammesso il promotore e responsabile del provvedimento di legge, il prefetto ministro dell’interno Matteo Piantedosi che ieri ha ricevuto i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil preoccupati per la minaccia ai diritti sindacali delle nuove disposizioni. «Appoggerò qualsiasi modifica al testo normativo indirizzata nel senso di precisare, qualora lo si ritenesse necessario, i confini della nuova fattispecie penale» ha scritto il ministro al termine dell’incontro al Viminale.

Pierpaolo Bombardieri, Maurizio Landini e Luigi Sbarra hanno portato al ministro le loro critiche sul metodo – «non abbiamo capito perché intervenire in una materia come questa con decreto, tanto più che le norme ci sono», ha detto il segretario della Cgil – e sul merito del provvedimento. Soprattutto in una fase sociale «assai delicata» come quella attuale, «per esempio che succede se i lavoratori occupano una fabbrica che chiude all’improvviso, arriva la polizia?», ha chiesto il segretario della Uil. Il decreto, ha detto il segretario della Cisl Sbarra, «presenta maglie interpretative troppo larghe e un’eccessiva discrezionalità per una fattispecie di reato molto dura e repressiva».

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi foto di Roberto Monaldo /LaPresse

Piantedosi ha risposto che l’emergenza che giustifica il decreto sono proprio i rave, ne ha contati 249 negli ultimi dieci anni (due al mese), ha detto che non è la prima volta che si modificano norme penali con decreto legge e ha aggiunto che la strada del disegno di legge «avrebbe richiesto più di un anno» in parlamento. Ma il ministro prefetto ha promesso che«se serve» è pronto a sostenere le modifiche in fase di conversione «per chiarire che sono escluse dal decreto le attività e le manifestazioni sindacali». Al Viminale, è apparso chiaro ai partecipanti all’incontro, interessa particolarmente la norma sulla confisca obbligatoria dei «mezzi di reato», cioè i costosi apparati musicali, immaginando per questa via di estinguere i rave. Il segretario della Cgil Landini ha insistito sulla necessità di ritirare il decreto, comunque «pericoloso per come è scritto».

Silvia Garzena, Rete antifascista di Pavia
Per la prima volta da anni la questura ci impone di non superare i 50 partecipanti al presidio antifascista del 5 novembre

Ancora una volta, Piantedosi è stato costretto a annunciare quello che dovrebbe essere ovvio: «Non sono intaccati in alcun modo i diritti costituzionalmente garantiti». E più tardi in conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri la stessa Giorgia Meloni ha chiesto, sostanzialmente, di fidarsi di lei: «Vietare le manifestazioni è la cosa più distante dalla mia storia, non c’entra niente con le nostre intenzioni». Ma la presidente del Consiglio ha confermato che il decreto andrà corretto: «Se qualcuno ha idee per migliorare la norma sui rave lo ascolteremo, il parlamento esiste per questo». Ha però mantenuto la linea dura sui rave: «Lo Stato che fa finta di non vedere chi se ne infischia delle regole è finito».

Intanto il tentativo del Pd di cancellare immediatamente la norma con un sub emendamento al decreto aiuti-ter in discussione alla camera nella commissione speciale può dirsi già fallito, perché non c’è l’unanimità dei gruppi a sostenere l’iniziativa estranea per argomento (neanche dei gruppi di opposizione). E in serata da Pavia arriva la notizia che il questore ha vietato al presidio antifascista che si tiene ogni anno il 5 novembre di superare il numero di 50 partecipanti. Nessun richiamo esplicito al decreto che proprio questo limite di presenze pone ai raduni «pericolosi», ma «è la prima volta da anni che ci impongono un tetto del genere», racconta Silvia Garzena, portavoce della Rete antifascista.