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Pianoforte

PianoforteBartolomeo Cristofori

In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 maggio 2015

Non sapevo proprio che cosa scrivere oggi. Quale parola scegliere. Già è una pretesa folle inventare qualcosa di sensato ogni settimana. Inoltre sono reduce da un trasloco, faticoso soprattutto psicologicamente. Tutti lo sanno: cambiare una casa abitata da molti anni, rifare i conti col passato, interrogarsi sul presente, non indugiare troppo sul futuro. In un complicato corpo a corpo con generazioni di oggetti che ci inseguono.

Per esempio i troppi libri accumulati. Di almeno la metà mi sono liberato. Un vuoto che riempio indugiando su certi vecchi testi ritrovati e conservati.

Per esempio la selezione degli appunti di Kant, ormai vecchio, fatta da Vittorio Mathieu, Opus postumum. Il filosofo, stanco e malato, si arrovellava su una nuova opera (Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica). Qualcosa che riteneva di non aver ben risolto nelle sue Critiche, e che non riuscì a portare a termine. L’ultima pagina si chiude con una ennesima definizione della «filosofia trascendentale» – ce ne sono moltissime, inframezzate da annotazioni ironiche sulla propria malattia, il pesce troppo salato e tanto altro – e con la frase: «La matematica stessa può venir trattata filosoficamente come strumento. Pianoforte, piano a coda, positivo, organo».

Mi aveva colpito. Tutti strumenti a tastiera (il positivo è una specie di piccolo organo portatile). Ma come trarne materia per questa rubrica? Non sono certo in grado di affrontare questioni filosofiche trascendentali.

Mi è venuto in soccorso, aprendo il computer, il doodle di Google dedicato a Bartolomeo Cristofori. Il geniale «cembalaro» al servizio del principe Ferdinando De’ Medici che inventò e costruì, tra gli ultimi anni del ‘600 e i primi del ‘700, il primo «arpicembalo… che fa il piano e il forte».

Era nato il 4 maggio 1655, e i Signori della Rete hanno deciso di commemorarlo con un graziosissimo gioco interattivo: un pianista settecentesco suona la melodia di un famoso corale di Bach. Accanto ha un cursore che va dal piano al forte. Se aumentate il volume il pianista si commuove e si agita sulla tastiera, mentre si vede il martelletto che picchia sulla corda (come dal disegno originale di Cristofori). Il «cembalaro» italiano aveva realizzato il desiderio della corte illuminata (e illuminista) che lo stipendiava. Come dare a uno strumento a tastiera – eccellente per riprodurre ogni combinazione di suoni come un’orchestra – quel saper «parlar del cuore, ora con delicato tocco d’angelo, ora con violenta irruzzione di passioni» di cui era privo.

La tecnologia inventata da Cristofori funzionava benissimo, consentendo all’esecutore di imprimere con la forza delle dita e del corpo più o meno volume al suono, ma lì per lì non ebbe successo. Solo un secolo più tardi, con Mozart e Beethoven (ma senza dimenticare l’altro grande italiano Clementi), e poi col romanticismo, le possibilità espressive del pianoforte furono esaltate.

Pensierino conclusivo: oggi nel discorso pubblico tutti sembrano capaci di suonare esclusivamente e meccanicamente fortissimi e sforzati (fff e sf negli spartiti). Qualcosa che in certo modo unisce spettacolarmente chi spacca vetrine, un premier che decide tutto lui, gli oppositori che lo paragonano al peggior nemico, ecc. Una specie di molesto rumore di fondo, destinato a stufarci?

Meglio ascoltare allora quel tema scritto da Erik Satie per una decina di pianoforti, e ripetuto ossessivamente 840 volte. Una moderna parodia della modernizzazione. Non casualmente intitolato: Vessazioni.

https://youtu.be/dBhjGIdL5cM

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