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Pia Covre: «Finalmente riconosciute sex workers, favorirci non è reato»

Pia Covre: «Finalmente riconosciute sex workers, favorirci non è reato»Pia Covre

Intervista La presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute: «Abbiamo pagato prezzi altissimi al reato di favoreggiamento: mariti sottoposti a processo, difficoltà enormi a trovare case in affitto o perfino una camera in un hotel»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 7 febbraio 2018

«Hanno usato proprio la parola sex workers, sono contenta». È una bella sorpresa, per Pia Covre, storica attivista e presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute, vedere quel termine invocato da anni comparire nell’ordinanza con la quale la Corte d’Appello di Bari ha trasmesso gli atti del processo Tarantini alla Consulta affinché valuti l’incostituzionalità di quella parte della legge Merlin (art.3, commi 4 e 8 in particolare) che persegue chi favorisce o rafforza la libera scelta delle lavoratrici del sesso.

Nell’ordinanza, i giudici citano una sentenza della Consulta dell’87 e una della Cassazione del 2004 che riconoscono l’autodeterminazione degli atti sessuali come libertà tutelata costituzionalmente (art.2 e 13). E da qui muovono per rimettere in discussione il reato di favoreggiamento e induzione della prostituzione. Cosa ne pensa?
Finalmente. È dal 1983 che chiediamo una vera decriminalizzazione e depenalizzazione, con la modifica della legge in queste parti che limitano la possibilità di organizzare il lavoro. Visto che esercitare questa professione non è reato, non abbiamo mai compreso perché si insiste nel voler perseguitare chi favorisce l’esercizio della libera prostituzione. È una scelta che non dovrebbe essere criminalizzata in nessuno dei suoi aspetti, salvo lo sfruttamento con sistemi di coercizione. Abbiamo pagato prezzi altissimi alla norma che vieta il favoreggiamento: quanti mariti delle donne che lavoravano sono stati sottoposti a processo, quanto è difficile per una prostituta trovare una casa in affitto, oppure prendere una camera in un hotel per lavorare. Dunque sono curiosa e spero sia l’occasione per modificare la legge. Noi non abbiamo mai invocato la Consulta solo perché non abbiamo mai avuto avvocati così sopraffini.

Alcune delle donne per le quali Tarantini faceva il tramite in favore dell’«utilizzatore finale» però non hanno mai ammesso di aver esercitato la prostituzione, prima. E se fossero state convinte?
A meno che una persona non sia stata plagiata in qualche modo, abbia ridotte capacità cognitive o sia stata obbligata da ricatti, si presume che possa scegliere di concedere sesso in cambio di denaro, o per avere una migliore qualità di vita, regali, viaggi, per accedere ad un determinato ambiente o per incontrare amici importanti. Cosa diversa è parlare dello scambio di favori che può esserci stato tra il mediatore e il politico, ma questo è un altro ambito.

Una cosa importante che i giudici hanno ricordato è che il bene giuridico tutelato dalla stessa legge Merlin non è la salute pubblica, né la pubblica morale, ma la libertà di autodeterminazione.
Come per la violenza sessuale che si punisce in quanto reato contro la persona e non più contro la morale. Ecco perché si dovrebbe intervenire penalmente sulla prostituzione solo quando la donna è ridotta a vittima. E invece, ciò che mi fa arrabbiare di questo processo è che queste escort (quindi donne che presumibilmente non sono attive sulla strada, sotto gli occhi di tutti) hanno subito un grave danno dal risalto mediatico. Portate in tribunale come puttane, non avranno alcun risarcimento per il discredito e lo stigma gettato su di loro. La stessa cosa che avviene quando si vogliono processare i clienti: si usano le prostitute come personificazione del crimine. In Svezia, per esempio, dove gli abolizionisti della prostituzione dicono di agire nell’interesse delle donne, in realtà per condannare il favoreggiamento e l’induzione si trascinano le donne in tribunale rivelandone identità e violando la loro privacy.

Per i giudici di Bari la legge 75, ormai sessantenne, non tiene conto dell’«emersione sociale del fenomeno delle escort ovvero delle sex workers» come figure professionali a tutti gli effetti. Tutelate perciò dall’art.41 della Carta.
Mi fa piacere, perché ci siamo battute a lungo affinché ci chiamassero sex workers, riconoscendo la libertà individuale di scambiare sesso per denaro. Questo non significa che vogliamo la regolamentazione con la riapertura delle case chiuse. Pensiamo invece che se si decriminalizza completamente quello che è un accordo tra adulti consenzienti e autodeterminati, questa attività può essere esercitata in ambito legale. Con la possibilità di organizzare il proprio lavoro: farsi aiutare, trovare un posto dove esercitarlo, aprire una partita Iva oppure no. Come fa una sarta.

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