«Photographing Art», un puzzle di sodalizi professionali e esistenziali
Scaffale Il volume, a cura di Adelina Cüberyan von Fürstenberg, è una sintesi di un immenso archivio di immagini che vanno dal 1974 al 2018
Scaffale Il volume, a cura di Adelina Cüberyan von Fürstenberg, è una sintesi di un immenso archivio di immagini che vanno dal 1974 al 2018
«Per me tutto questo era una seconda vita. Vivevo quello che vivevano gli artisti», afferma Franz Egon von Fürstenberg (Berlino 1939, vive a Ginevra) parlando dell’immenso archivio fotografico (sono circa ventimila solo i negativi) di immagini collezionate tra il 1974 e il 2018.
IL VOLUME Photographing Art, a cura di Adelina Cüberyan von Fürstenberg con testi di Lionel Bovier, Alessandra Mammì, Melissa Rérat e Denys Zacharopoulos (pubblicato da Skira, pp. 248, euro 39,90) è una sintesi di quei diversi momenti attraverso una rigorosa selezione di oltre duecento scatti in bianco e nero e a colori.
Una storia che il figlio della messicana Gloria Guinness, icona mondiale di eleganza e del conte tedesco von Fürstenberg-Herdringen, assistente di Pierre Cardin a Parigi e poi, a Ginevra, del fotografo Alain de Ferron ha condiviso con la moglie, la curatrice di origine armena Adelina Cüberyan, che tra i progetti internazionali ha curato il Padiglione armeno, Leone d’oro alla Biennale di Venezia 2015 ed è la fondatrice dell’ong Art for the World.
Il 1974 è l’anno in cui Egon e Adelina si conoscono, si sposano e nasce anche quel loro sodalizio che coinvolge artisti, critici, pensatori. «Non c’è nessun artificio nella nostra storia». Stavolta a parlare è Adelina von Fürstenberg che in quest’affermazione riflette anche l’approccio naturale del marito al lavoro fotografico. «Ognuno faceva parte del puzzle. Gli artisti neanche si accorgevano che lui fotografava».
LO SCONFINAMENTO tra arte e vita privata è costante: con discrezione (senza usare il flash), Egon entra nel racconto di un momento, testimone consapevole della preziosità di un’azione performativa così come di uno sguardo, una risata, anche della tensione che in atto. Però l’esperienza della «rivelazione» spesso avviene parecchio tempo dopo lo scatto, come quando è testimone dell’incontro tra Andy Warhol e Joseph Beuys, organizzato a Napoli il 1 aprile 1980 da Lucio Amelio, dove il re della pop art firma autografi e scatta a sua volta fotografie, mentre Beuys non sembra affatto gradire il rumore della mondanità, preferendo piuttosto la gita a Cuma per entrare nell’antro della Sibilla.
I SOGGETTI fotografati da Egon non sono mai in posa, come Gina Pane sdraiata a terra, durante la performance ad Art Basel nel 1974, dove il bianco e nero della stampa ai sali d’argento attutisce l’aggressività del rosso del sangue o i due giovanissimi Gilbert & George ieratici a New York nel 1975. E ancora Alighiero Boetti a Grenoble, nello spazio di Le MagasinCentre national d’art contemporain (diretto da Adelina dal 1989 al ’94), che ha ospitato l’antologica di Gino De Dominicis con la prima esposizione di Calamità cosmica (oggi nell’ex chiesa della Santissima Trinità in Annunziata, a Foligno).
Anche il pubblico è protagonista del racconto, in particolare la sua curiosità e l’interesse che il fotografo intercetta con rispetto, partecipando con la stessa intensità ai momenti conviviali e a quelli che hanno scritto le pagine più esaltanti della storia dell’arte degli ultimi quarant’anni.
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