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Pfeiffer, un umanista in esilio con Callimaco

Pfeiffer, un umanista in esilio con CallimacoOinochoe (brocca da vino) con figura di Berenice II rappresentata come Tyche, da Alessandria, III sec. a.C., Los Angeles, J. Paul Getty Museum

Il Callimaco di Pfeiffer Nato in Baviera da famiglia cattolica (1889), Rudolf Pfeiffer fu costretto a lasciare la cattedra di Monaco nel 1938 perché la moglie era ebrea. A Oxford ritrovò Eduard Fraenkel (al Corpus Christi College) e Paul Maas. In Inghilterra pubblicò l’«editio maior» di Callimaco: esemplare, ancora ineguagliata...

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 25 agosto 2024

La raccolta dei frammenti di Callimaco, il grande poeta greco-libico-alessandrino attivo nel III secolo a.C., curata da Rudolf Pfeiffer a cavallo della metà del XX secolo, è stata giustamente definita «sotto ogni aspetto … uno dei massimi sforzi mai prodotti dalla filologia nella sistemazione editoriale di un poeta disperso» (Luigi Lehnus). Se questa edizione ha segnato la storia degli studi classici, ciò non si deve solo all’acume e alla perizia dell’editore. I disiecta membra di Callimaco rappresentano infatti uno snodo epocale per il modo in cui si è creata la visione stessa della tradizione della poesia greca. Callimaco incarna nel modo più chiaro la qualità attribuita da Strabone al suo predecessore Filita, «insieme poeta e critico (filologo)». La sua opera propone una monumentale sistemazione ‘libraria’ delle tradizioni del passato, e allo stesso tempo crea originali forme nuove, che reinventano il modo stesso di fare poesia, determinando le vie prese dai secoli a venire ad Alessandria, e poi a Roma. In lui Pfeiffer vede «l’unione completa del poeta creativo e del filologo riflessivo», e all’interno di questa eredità colloca il suo stesso operare: «i poeti filologi alessandrini sono i nostri antenati, e noi dovremmo almeno tentare di non essere indegni di questa nobile discendenza».

I papiri rinvenuti in Egitto
Ma le creazioni di Callimaco hanno solo in parte superato l’urto del tempo e le strettoie della trasmissione. Ci rimangono, più o meno integri, solo i suoi sei Inni (tutti derivati da un singolo esemplare ora perduto, copiato più volte nel Quattrocento) e qualche decina di epigrammi, soprattutto nelle sillogi antologiche bizantine. Opere di grande originalità come i quattro libri degli Aitia (le Origini, un composito poema elegiaco) e il piccolo epos che prendeva il nome dalla vecchia contadina Ecale erano, sembra, ancora in circolazione alla vigilia della Quarta Crociata (condotta contro l’Impero Bizantino). A noi ne restano solo le numerose e complesse citazioni, e i molti papiri rinvenuti in Egitto e pubblicati a partire dalla fine dell’Ottocento.

La sfida per la ricostruzione ha assunto quindi un particolare significato culturale, ed ha avuto inizio già nel 1489, con la pubblicazione della Prima Centuria dei Miscellanea di Poliziano, altro poeta e filologo, che aveva non solo dato a stampa per la prima volta il V Inno, traducendolo in versi elegiaci latini ricchi di allusioni, ma anche raccolto i primi testimoni dell’Ecale, e offerto, basandosi sulla traduzione di Catullo e sul reperimento di nuovi elementi dalla tradizione indiretta, una restituzione di passi della Chioma di Berenice (che ora sappiamo collocata alla fine del IV libro degli Aitia) e del testo dello stesso Catullo. Un passo decisivo in questo percorso si deve a un altro grande nome della filologia, quello del critico inglese Richard Bentley, che era stato in grado di raccogliere, e in parte brillantemente emendare, più di quattrocento items (Utrecht 1697). Anche dopo successivi importanti contributi, quali quelli del geniale filologo olandese A. Hecker e del tedesco A.F. Naeke sull’Ecale, il testo di Bentley rimaneva ancora quello di riferimento nella ricca ma farraginosa edizione di O. Schneider, l’ultima prima di quella di Pfeiffer (Lipsia 1873; significativo il titolo: Fragmenta a Bentleio collecta et explicata ab aliis aucta). Dalla fine del XIX secolo le numerose scoperte papiracee, testimoni della fortuna di Callimaco tra i lettori dell’Egitto di età ellenistica e romana, dalla tavoletta cerata con una sezione dell’Ecale pubblicata nel 1893 fino ai frammenti che ancora emergono ai nostri giorni, arricchiscono e cambiano decisamente il paesaggio delle rovine della sua opera poetica.

Rudolf Pfeiffer era nato nel 1889 in una famiglia cattolica radicata nella tradizione ‘classica’ della città di Augusta. Il padre e il nonno, stampatori, abitavano nella dimora dell’umanista rinascimentale Konrad Peutinger. All’Università di Monaco i suoi interessi si rivolsero non solo alle letterature antiche, ma anche alla loro ripresa umanistica, col lavoro del 1913 sul Meistersinger di Augusta e traduttore tedesco di Virgilio e Omero, Johannes Spreng. Ferito a Verdun nel 1915, dopo la guerra, convalescente, iniziò a lavorare sui nuovi frammenti di Callimaco, che allora venivano alla luce, trascorrendo un periodo di studio sui papiri conservati a Berlino. Qui fu decisivo l’incontro col carismatico e fondamentale magistero di Ulrich von Wilamowitz.

La moglie era una pittrice di famiglia ebrea ungherese
Alla pubblicazione nel 1921 dei Callimachi fragmenta nuper reperta fece seguito, nel ’23, una edizione ampliata con ulteriori testi papiracei (l’editio maior), che gli aprì la strada all’insegnamento accademico. Già nel 1929 Pfeiffer tornava a Monaco, cui rimase fortemente legato fino alla fine della carriera. Non era sua intenzione dapprincipio ampliare il lavoro a una nuova edizione complessiva dell’opera di Callimaco, ma gli importantissimi ulteriori ritrovamenti papiracei dei tardi anni venti e degli anni trenta lo riportarono in questa direzione. Appariva prima, nel 1929, il fondamentale Prologo ai Telchini, che apriva programmaticamente gli Aitia, e che tanta influenza aveva esercitato sulla poesia latina, soprattutto in età augustea. Nel 1934 seguiva il papiro con le Diegeseis, gli Argomenti, che offriva, in ordine certo, gli stringati riassunti non solo di buona parte degli Aitia stessi, ma anche dei Giambi (con la loro discussa appendice lirica), dell’Ecale e degli Inni.

In questi anni gli interessi callimachei del filologo bavarese si accompagnano a quelli per altri generi poetici della grecità arcaica e classica, soprattutto la lirica e il dramma, e alla continua attenzione per la rinascita dello studio del mondo classico nel Cinquecento (e, in particolare, su Erasmo). Ma in tempi cupi l’umanesimo di Pfeiffer era per più di un motivo ‘inattuale’. Nel 1937 il filologo, che nel ’13 aveva sposato Lili Beer, pittrice di famiglia ebrea ungherese, fu collocato forzosamente a riposo dal regime nazionalsocialista. Illustri colleghi dell’Università di Monaco si mossero, negli unici modi consentiti, per evitare la rimozione di un collega che giudicavano insostituibile, senza successo: nel ’38 la famiglia Pfeiffer fu costretta all’esilio, destinazione Oxford.

Campion Hall a Oxford
È in questo contesto che nasce la magnifica editio maxima di Callimaco, punto di convergenza di una solida tradizione umanistica e di una acuta intelligenza, ma anche della collaborazione tra studiosi e intellettuali che, muovendo da diversi percorsi, avevano trovato a Oxford un rifugio, in anni bui per l’Europa e il mondo intero. L’opera appare con la dedica Collegio Corporis Christi et Aulae Beati Campionis, cioè a Campion Hall (la hall oxoniense cattolica, che prende il nome dal gesuita Edmund Campion) e al Corpus Christi College, dove trovò l’esule Eduard Fraenkel, compagno di scuola wilamowitziana. Cruciale per il Callimachus fu la vicinanza con l’altro grande esule ebreo tedesco, e wilamowitziano, Paul Maas (unus instar milium, nelle parole di Pfeiffer), e quella con Edgar Lobel (inglese figlio di immigrati rumeni), acutissimo lettore di papiri e conoscitore di lingua poetica, che gli aprì la via alle nuove scoperte e a testi ancora inediti.

L’edizione apparsa in due volumi a Oxford, tra il 1949 e il 1953 – anno in cui Pfeiffer tornò alla sua Monaco dove portò a compimento la Storia della filologia classica (trad. it. Macchiaroli, 1973) –, è un capolavoro di intelligenza, concisione ed eleganza, con un apparato che vale più di molti ampi commenti. Più volte arricchita da supplementi (importante, anche per i nuovi testi, il Supplementum Hellenisticum di H. Lloyd Jones e P. Parsons, 1983), è il fondamento insuperato delle ricche edizioni commentate e delle traduzioni annotate che nei decenni successivi hanno contribuito a dare nuovo vigore alle indagini sulla letteratura ellenistica, costellazione in cui la creatività poetica e lo sguardo interpretativo verso il passato sono intrecciati in modo così decisivo per la nostra tradizione letteraria.

 

*Giambattista D’Alessio ha studiato alla Scuola Normale di Pisa e all’University College London, e ha insegnato all’Università di Messina e a King’s College London. Attualmente è professore di Filologia Classica presso l’Università di Napoli Federico II. Ha pubblicato soprattutto su poesia lirica, poesia ellenistica e su testi letterari di recente scoperta, su papiro, pergamena e pietra.

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