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Pezzetti di verità, spifferi e nessun responsabile

Pezzetti di verità, spifferi e nessun responsabile

Le inchieste Priore parlò di reticenze e false testimonianze in ambito Nato e dell'Aeronautica

Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 settembre 2023

La verità sul disastro aereo di Ustica è affondata nel Tirreno alle 20 e 59 di venerdì 27 giugno 1980 e la giustizia, da allora, non è mai venuta a galla. Come per tutte le stragi italiane, anche in questo caso la storia giudiziaria è un guazzabuglio dalle dimensioni colossali: processi penali, processi civili, accuse incrociate, depistaggi, falsi. Ci sono però alcuni punti fermi come la sentenza di Cassazione del 2013 in cui si afferma che l’ipotesi che sia stato un missile ad abbattere il Dc9 dell’Itavia è «abbondantemente e congruamente motivata».

E c’è un’inchiesta ancora aperta, anche se viaggia su un binario morto e appare destinata all’archiviazione. Si tratta del procedimento della procura di Roma coordinato dal pm Erminio Amelio e dall’aggiunta Maria Monteleone, che cominciarono a indagare nel giugno del 2008 dopo aver ascoltato l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Giuliano Amato che negli anni successivi molto si interessò alla faccenda, tanto che nel 1987, da ministro del Tesoro, stanziò i fondi per il recupero del relitto del Dc9.

Cossiga, davanti ad Amelio, sostenne che l’aereo venne abbattuto da un missile «a risonanza e non a impatto» lanciato da un aereo della marina militare francese. Venne poi ascoltato l’uomo che all’epoca dei fatti era il ministro dei Trasporti, Rino Formica, che non si discostò dalla versione di Cossiga. Agli atti dell’inchiesta risultano anche le audizioni di alcuni piloti francesi che confermarono l’abbondante traffico aereo dalla base militare in Corsica proprio nella notte della strage. Il problema è che le perizie hanno affermato l’impossibilità di certificare ufficialmente l’esistenza di quel traffico e le rogatorie internazionali richieste dalla procura per andare a spulciare i documenti della Francia e degli Usa sono andate a vuoto.

Un altro pezzetto di verità è nella sentenza del processo civile intentato dai parenti delle vittime contro i ministeri della Difesa e dei Trasporti: è il 12 settembre del 2011 quando la giudice Paola Proto Pisani ordina un risarcimento da 100 milioni di euro (confermato dalla Cassazione) e scrive che la strage di Ustica è da considerare come «un’azione di guerra» che ha coinvolto tre diversi veicoli militari.

«Tutti gli elementi considerati – scrisse la giudice – consentono di ritenere provato che l’incidente si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto e il Dc9».

Di responsabili in carne e ossa, però, mai neanche l’ombra. Alla fine degli anni ’90 il giudice Rosario Priore scrisse una sentenza-ordinanza: concludeva che «l’inchiesta è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare sia della Nato, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto».

Il resto è negli spifferi, come i cablo di Wikileaks che tirano in ballo le preoccupazioni di un diplomatico Usa a Roma su un articolo di Repubblica del 2003 in cui si parlava delle intercettazioni fatte dagli americani alle telefonate tra il presidente del consiglio Amato e il ministro della Difesa Salvo Andò nel 1992 e i goffi tentativi di Carlo Giovanardi di rilanciare, nonostante le numerose smentite, la pista della bomba a bordo del Dc9. Nel dicembre 2022, infine, sulle pagine di questo giornale Daria Bonfietti ha denunciato la sparizione dall’archivio del ministero dei Trasporti di tutta la documentazione sugli anni delle stragi. Perché l’unico vero segreto è quello di cui nessuno conosce l’esistenza.

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